«I fini dell’economia sono anche i nostri fini?»
Ho 33 anni, sono mamma di una bimba di quasi due. Ho lasciato il posto che occupavo in una delle tante imprese del Nord-Est in cui vivo e che non merita certo le etichette di comprensorio all’avanguardia e di realtà-traino di quest’Italia che spesso gli si sentono attribuire, dal momento che dette imprese stanno ancora in piedi grazie all’evasione
fiscale massiccia e impunita e all’aiuto/dipendenza dalle banche a cui sono tutte, chi in maggiore o minore misura, largamente indebitate. E ora sono a una svolta della mia vita, o almeno così mi auguro.
Ma la mia preoccupazione oggi è per i giovani. Una categoria tenuta “fuori dai giochi”, una risorsa preziosa della società lasciata senza voce, ignorata da una generazione adulta egoista e autoreferenziale come la nostra attuale. I giovani oggi sono catalogati sotto inutili quanto insensate categorie (Generazione MTV, Y, Next), inscatolati in luoghi comuni e cliché vuoti, presi in giro e sbeffeggiati con epiteti come il “bamboccione” di ministeriale memoria.
L’unico valore reale che gli è riconosciuto è quello di essere una precisa entità da sfruttare per il mercato, un appetibile target economico. Una società che non ama i suoi giovani è una società che non ama il futuro.
Che senso ha vivere in una società dominata da logiche aziendali del tipo “siamo tutti utili e nessuno indispensabile”? Una spietata logica utilitaristica informa ogni aspetto della nostra esistenza.
L’avidità, la legge economica di mercato sembrano oggi le uniche forze capaci di muovere il mondo. Io mi chiedo: davvero dobbiamo sotto-stare a tutto questo? Dove sta scritto? Perché? Siamo davvero i nuovi schiavi dell’era contemporanea? In una condizione di accecamento morale e politico come quella attuale vale ancora l’antico mito della caverna del caro Platone a descrivere il nostro stato: quello di ignari spettatori (e oggi mai metafora potrebbe essere più calzante di fronte allo sconfinato potere ipnotico e distorsivo del mezzo televisivo) che guardano ombre scorrere sulla parete scambiandole per la Verità/Realtà.
Un nodo mi attanaglia la gola quando guardo gli occhi di mia figlia Eva-Maria e mi chiedo che futuro le stiamo consegnando.
Vera B., Pordenone.
Sull’atmosfera nichilista che caratterizza il clima in cui vivono i giovani d’oggi mi sono espresso più volte in questa rubrica e in un mio recente libro. Se ora ritorno sull’argomento è perché lei mette giustamente in correlazione l’egemonia della legge economica del mercato con la sottrazione del futuro ai giovani, confinati in percorsi di formazione senza fine o in condizioni di lavoro precario, il più delle volte non connesso alla loro formazione.
La loro sfiducia, la loro vita più notturna che diurna, l’alcol e la droga, assunti più per anestetizzarsi che per divertirsi, sono sintomi di una crisi non tanto “esistenziale” quanto “culturale”, da riferirsi al fatto che la nostra cultura conosce come unico generatore simbolico di tutti i valori esclusivamente il denaro, da conseguire con ogni mezzo, ivi compreso lo sfruttamento del lavoro dei giovani, che non hanno alcun potere contrattuale se non quello del “prendere o lasciare”.
«L’uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo», diceva Kant nel formulare il principio fondamentale della sua morale. Ma chi non è “mezzo di profitto”, sia che si tratti dell’immigrato o di uno qualunque di noi che lavora in una fabbrica o in un ufficio a qualsiasi condizione gli venga imposta, non ha diritto di cittadinanza.
E tutto questo perché l’economia globalizzata ha reso concorrenziale anche il costo del lavoro sempre più al ribasso.
Oggi i giovani vivono erodendo la ricchezza dei padri, ma non avranno ricchezza da far erodere ai loro figli, che saranno la prima generazione veramente senza futuro. Ma siccome lo sguardo dei governanti non si allunga oltre la propria biografia, di questa mancanza di futuro al momento nessuno si occupa. Invocare che l’economia non sia più egemone, ma venga subordinata alla vita delle persone, oggi ha del patetico. Ma a questo si dovrà pervenire, se non si vuole assistere a quella profezia che Spengler, Heidegger, Jaspers, Anders nel secolo scorso, con largo anticipo, andavano annunciando sotto il titolo «Tramonto dell’Occidente».
Umberto Galimberti
L'interesse che mi suscita questa lettera con annessa risposta tratta da "D", settimanale di Repubblica, scaturisce da tre punti.
Il primo si riferisce alla favola-mito del "Nord-Est realtà-traino dell'Italia".
Il secondo al fatto che determinate situazioni risultino sempre più fastidiose alla "gente comune", facendo così scadere l'alibi della "visione comunista intrisa di ideologia".
Infine, il terzo, si riferisce alla risposta del filosofo Galimberti, che rispecchia il pensiero del disilluso, di chi si abbandona e si lascia andare senza opporre resistenza allo strapotere del nichilismo, di chi non può o non vuole cercare soluzioni e s'impantana a constatare il decesso. Da questo punto di vista, e solo da questo punto di vista, paradossalmente, preferisco la logica ultimomistica della postmodernità che, perlomeno, spinge verso una reazione.
2 commenti:
Giusto, i giovani di oggi (anagraficamente mi ci metto anch'io) sono inquadrati nel nichilismo. Il dramma è che la maggior parte non se ne rende minimamente conto e questo perché manca fondamentalmente la cultura, una cultura che non si apprende solo sui libri di scuole e all'università, ma nello spazio di libertà che vogliamo ritagliarci tra un libro e l'altro, quando esigiamo di capire in che mondo viviamo al di là di quello che il mondo vuol farci credere.
Il lavoro e l'economia sono sicuramente contesti in cui questo nichilismo si esplica con maggiore evidenza e drammaticità. Nonostante questo, tuttavia, temo che in questa fase (credo naturalmente che le cose possano migliorare) il lavoratore giovane sia vicino al pensiero di Galimberti, avverte il declino e non lo sopporta, ma ancora non ha elaborato una risposta.
Ti faccio una domanda, come possiamo noi, gente come me e te che è invece ansiosa di reagire, convincere alla mobilitazione questa generazione potenzialmente rivoluzionaria? E' davvero necessario aspettare che abbia la pancia vuota e i morsi della fame o ci sono corde che possono essere toccate prima?
Simone, mi fai una domanda da un milione di dollari...XD
I morsi della fame sono un valido motivo, senza dubbio. Ma, a quanto pare, non sufficiente.
Se fossi dirigente di un partito, punterei sull'egemonia culturale. Ovviamente non come unico motore, altrimenti si rischia di passare per idealisti e velleitari.
Oggi si vive per oggi, invece si dovrebbe riscoprire, e far riscoprire, che una delle fondamentali peculiarità dell'Essere Umano sta nel pensare al domani.
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