"Non siamo pacifisti. Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell'interesse del socialismo."
(Vladimir Ilič Ul'janov, Lenin, 1917)

16 giugno 2009

Comunismo, strategia, tattica e concretezza. (di Giuseppe)

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Non siamo in democrazia. Inoltre oggi la situazione internazionale è profondamente mutata rispetto ad alcuni decenni fa.
Le concessioni ottenute in passato sono state conseguite grazie a rapporti di forza internazionali ben diversi dagli attuali e per motivi strutturali inerenti al modo di produzione capitalistico.
Oggi, dicevo, la situazione è radicalmente mutata. I padroni sono purtroppo riusciti a far passare la concezione che le loro ricette, per quanto orribili, permettano migliori condizioni di sviluppo e dunque di occupazione e di vita rispetto alle nostre proposte, oramai raffigurate come tendenti a frenare lo sviluppo e dunque a peggiorare la situazione occupazionale e di vita. Ovviamente non è vera questa loro visione.
Il punto è che riescono ad imporla perchè grazie alla proprietà privata dei mezzi di produzione e dei mezzi di scambio sono in grado di ricattare interi Paesi, indirizzando l'economia nel modo a loro gradito. Oggi, inoltre, con la globalizzazione, se si spinge per ottenere migliori condizioni sociali, si incentiva la delocalizzazione della produzione in altri Paesi, si incentiva i padroni al ricorso al lavoro nero. Se si lotta per migliorare le condizioni di vita delle masse popolari attraverso un aumento della pressione fiscale alle fasce sociali più elevate (le tasse non sono così alte come frignano i padroni), si ottiene come risultato la fuga di capitali all'estero.

Durante i volantinaggi davanti alla Fiat Mirafiori ricordo le risposte degli operai ai contenuti dei volantini: un'alzata di spalle! Come a dire: avreste pure ragione ma tanto è inutile. Ricordo l'impressione surreale che ha generato una propaganda con la quale si dichiarava di essere dalla parte dei lavoratori.
Ci sarebbe da discutere sulle nuove interpretazioni del concetto di utopia. Ma, in base alle concezioni negative dell'utopia ereditate dal positivismo, ad essere utopico, perdente e "già visto", oggi, è proprio sedersi a parlare di pensioni, contratti, sanita e sicurezza.
Non siamo in democrazia e chi ha il potere non tollera che si possa discutere di questioni a loro sgradite.
E' alquanto diffuso il termine "concreto". Termine che sarebbe da vagliare nei contenuti: per concretezza si possono intendere le cose più disparate. Ci sarebbe poi anche da riflettere sul termine stesso di "concreto".
Esso, secondo alcuni, rileva una sudditanza all'egemonia ideologica borghese (e ciò è stato troppo poco discusso).
I padroni vogliono indurci a non meglio precisati ragionamenti concreti, non travalicanti il loro dominio e il modo di produzione capitalistico.
E' interessante notare come il classismo (e il razzismo) padronale abbia sempre cercato di dipingere le masse popolari (e quelle dei Paesi del terzo mondo) come masse "bambine" da educare!
Alla luce di ciò diventa inquietante la riflessione di alcuni studiosi di psicologia cognitiva secondo i quali è possibile osservare che è tipico delle età infantili condurre ragionamenti concreti, mentre è tipico delle età adulte la capacità di condurre ragionamenti astratti.
Urge ricominciare ad effettuare analisi strategiche atte al superamento di questo modo di produzione, e ciò non vuol dire cadere nell'estremismo. Anzi, l'estremismo è il tipico discorso di chi crede di poter ottenere ciò che vuole senza occuparsi della questione del potere, ragionamento basato appunto sull'estremismo tattico e il moderatismo strategico. Chi invece si occupa della questione del potere e si rende conto che le proprie lotte non possono esulare da essa, basa la propria visione su una tattica anche moderata purchè la strategia sia atta al superamento degli ostacoli che impediscono il conseguimento dei propri obiettivi e sia atta al raggiungimento di un nuovo tipo di società!
Se chi torna a casa stanco dal lavoro ha come unica prospettiva quella di impegnarsi in partiti e sindacati che promettono di lottare per minimi e pur irrealizzabili obiettivi difensivi, è logico che si ingeneri una visione nichilistica che porti a cercare altrettanto difficili ma ben più stimolanti "carriere", a vivere avendo come parola d'ordine il "si salvi chi può", a vivere senza etica, a vivere in base alla logica nietzscheana dell'ultimo uomo. E poi ci si meraviglia degli esiti elettorali.
Ricominciamo a lottare per un'altra prospettiva, di più ampio respiro!
Lottiamo per il comunismo!
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5 giugno 2009

Tienanmen 20 anni dopo (a cura di Kim)

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Tratto da: domenicolosurdoblogtienanmen.blogspot.com

Di Domenico Losurdo

In questi giorni, la grande stampa di «informazione» è impegnata a ricordare il ventesimo anniversario del «massacro» di piazza Tienanmen. Le rievocazioni «commosse» degli avvenimenti, le interviste ai «dissidenti» e gli editoriali «indignati», i molteplici articoli che si sussseguono e si preparano mirano a ricoprire di perpetua infamia la Repubblica Popolare Cinese e a rendere solenne omaggio alla superiore civiltà dell’Occidente liberale. Ma cosa è realmente avvenuto venti anni fa?
Nel 2001 furono pubblicati e successivamente tradotti nelle principali lingue del mondo i cosiddetti Tienanmen Papers che, stando alle dichiarazioni dei curatori, riproducono rapporti segreti e i verbali riservati del processo decisionale sfociato nella repressione del movimento di contestazione. E’ un libro che, sempre secondo le intenzioni dei curatori e degli editori, dovrebbe mostrare l’estrema brutalità di una dirigenza (comunista) che non esita a sommergere in un bagno di sangue una protesta «pacifica». Sennonché, una lettura attenta del libro in questione finisce col far emergere un quadro ben diverso della tragedia che si consuma a Pechino tra maggio e giugno del 1989. Leggiamo qualche pagina qua e là:
«Più di cinquecento camion dell’esercito sono stati incendiati in corrispondenza di decine di incroci […] Su viale Chang’an un camion dell’esercito si è fermato per un guasto al motore e duecento rivoltosi hanno assalito il conducente picchiandolo a morte […] All’incrocio Cuiwei, un camion che trasportava sei soldati ha rallentato per evitare di colpire la folla. Allora un gruppo di dimostranti ha cominciato a lanciare sassi, bombe molotov e torce contro di quello, che a un certo punto si è inclinato sul lato sinistro perché uno dei suoi pneumatici si è forato a causa dei chiodi che i rivoltosi avevano sparso. Allora i manifestanti hanno dato fuoco ad alcuni oggetti e li hanno lanciati contro il veicolo, il cui serbatoio è esploso. Tutti e sei i soldati sono morti tra le fiamme».

Non solo è ripetuto il ricorso alla violenza, ma talvolta entrano in gioco armi sorprendenti:
«Un fumo verde-giallastro si è levato improvvisamente da un’estremità del ponte. Proveniva da un’autoblindo guasto che ora costituiva esso stesso un blocco stradale […] Gli auotoblindo e i carri armati che erano giunti per sgomberare la strada dai blocchi non hanno potuto fare altro che accodarsi alla testa del ponte. Improvvisamente è sopraggiunto di corsa un giovane, ha gettato qualcosa in un autoblindo ed è fuggito via. Alcuni secondi dopo lo stesso fumo verde-giallastro è stato visto fuoriuscire dal veicolo, mentre i soldati si trascinavano fuori e si distendevano a terra, in strada, tenendosi la gola agonizzanti. Qualcuno ha detto che avevano inalato gas venefico. Ma gli ufficiali e i soldati nonostante la rabbia sono riusciti a mantenere l’autocontrollo».
Questi atti di guerra, col ricorso ripetuto ad armi vietate dalle convenzioni internazionali, si intrecciano con iniziative che danno ancora di più da pensare: viene «contraffatta la testata del “Quotidiano del popolo”». Sul versante opposto vediamo le direttive impartite dai dirigenti del partito comunista e del governo cinese alle forze militari incaricate della repressione:
«Se dovesse capitare che le truppe subiscano percosse e maltrattamenti fino alla morte da parte della masse oscurantiste, o se dovessero subire l’attacco di elementi fuorilegge con spranghe, mattoni o bombe molotov, esse devono mantenere il controllo e difendersi senza usare le armi. I manganelli saranno le loro armi di autodifesa e le truppe non devono aprire il fuoco contro le masse. Le trasgressioni verranno prontamente punite».
Se è attendibile il quadro tracciato da un libro pubblicato e propagandato dall’Occidente, a dare prova di cautela e di moderazione non sono i manifestanti ma piuttosto l’Esercito Popolare di Liberazione!
Nei giorni successivi il carattere armato della rivolta diviene più evidente. Un dirigente di primissimo piano del partito comunista richiama l’attenzione su un fatto decisamente allarmante: «Gli insorti hanno catturato alcuni autoblindo e sopra vi hanno montato delle mitragliatrici, al solo scopo di esibirle». Si limiteranno ad una minacciosa esibizione? E, tuttavia, le disposizioni impartite all’esercito non subiscono un mutamento sostanziale: «Il Comando della legge marziale deve rendere chiaro a tutte le unità che è necessario aprire il fuoco solo in ultima istanza».
Lo stesso episodio del giovane manifestante che blocca col suo corpo un carro armato, celebrato in Occidente quale simbolo di eroismo non-violento in lotta contro una violenza cieca e indiscriminata, viene letto dai dirigenti cinesi, stando sempre al libro qui più volte citato, in chiave diversa e contrapposta:
«Abbiamo visto tutti le immagini del giovane uomo che blocca il carro armato. Il nostro carro armato ha ceduto il passo più e più volte, ma lui stava sempre lì in mezzo alla strada, e anche quando ha tentato di arrampicarsi su di esso i soldati si sono trattenuti e non gli hanno sparato. Questo la dice lunga! Se i militari avessero fatto fuoco, le ripercussioni sarebbero state molto diverse. I nostri soldati hanno eseguito alla perfezione gli ordini del Partito centrale. E’ stupefacente che siano riusciti a mantenere la calma in una situazione del genere!».
Il ricorso da parte dei manifestanti a gas asfissianti o velenosi e soprattutto l’edizione-pirata del «Quotidiano del popolo» dimostrano chiaramente che gli incidenti di piazza Tienanmen non sono una vicenda esclusivamente interna alla Cina. Altri particolari significativi emergono dal libro celebrato in Occidente: «”Voice of America” ha avuto un ruolo davvero inglorioso nel gettare benzina sul fuoco»; incessantemente essa «diffonde notizie infondate e istiga ai disordini». E non è tutto: «Dall’America, Gran Bretagna e Hong Kong sono arrivati più di un milione di dollari di Hong Kong. Parte dei fondi è stata utilizzata per l’acquisto di tende, cibo, computer, stampanti veloci e sosfisticate attezzature per le comunicazioni».
A cosa mirassero l’Occidente e soprattutto gli Usa lo possiamo desumere da un altro libro, scritto da due autori statunitensi fieramente anticomunisti. Essi ricordano come in quel periodo di tempo Winston Lord, ex-ambasciatore a Pechino e consiglere di primo piano del futuro presidente Clinton, non si stancava di ripetere che la caduta del regime comunista in Cina era «una questione di settimane o mesi». Tanto più fondata appariva questa previsione per il fatto che al vertice del governo e del Partito spiccava la figura di Zhao Ziyang, il quale – sottolineano i due autori statunitensi qui citati – è da considerare «probabilmente il leader cinese più filo-americano nella storia recente».
In questi giorni, parlando col «Financial Times», l’ex-segretario di Zhao Ziyang, e cioè Bao Tong, agli arresti domiciliari a Pechino, sembra rimpiangere il mancato colpo di Stato al quale nel 1989, mentre il «socialismo reale» cadeva in pezzi, aspiravano personalità e circoli importanti in Cina e negli Usa: disgraziatmente, «neppure un soldato avrebbe prestato ascolto a Zhao»; i soldati «prestavano ascolto ai loro ufficiali, gli ufficiali ai loro generali, e i generali a Deng Xiaoping».
Visti retrospettivamente, gli incidenti di piazza Tienanmen di venti anni fa si presentano come un tentativo fallito di colpo di Stato e un fallito tentativo di instaurazione di un Impero mondiale pronto a sfidare i secoli…
Fra non molto cadrà un altro ventesimo anniversario. Nel dicembre del 1989, senza essere neppure preceduti da una dichiarazione di guerra, i bombardieri amercani si scatenavano sul Panama e la sua capitale. Come risulta dalla ricostruzione di un autore ancora una volta statunitense, quartieri densamente popolati furono sorpresi nella notte dalle bombe e dalle fiamme; a perdere la vita furono in grandissima parte «civili, poveri e di pelle scura»; a almeno 15 mila ammontarono i senza tetto; si tratta comunque dell’«episodio più sanguinoso» nella storia del piccolo paese. E’ facile prevedere che giornali impegnati a spargere lacrime su piazza Tienanmen sorvoleranno sull’anniversario di Panama, come d’altro canto è avvenuto in tutti questi anni. I grandi organi di «informazione» sono i grandi organi di selezione delle informazioni e di orientamento e di controllo della memoria.
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4 giugno 2009

L'unica informazione attendibile: la controinformazione.

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Articolo condiviso tramite "VivaCubaLibera" di Eliolibre

Salim Lamrani: le bugie di RSF 

(traduzione a cura di Alessandro Lattanzio, "Eurasia")

"Ancora una volta Reportes Sans Frontières ha svolto il suo lavoro ben remunerato, quello di mettere in cattiva luce chiunque venga considerato "nemico" degli USA. Come sempre il nemico più "pericoloso", quindi da aggredire con più determinazione, è Cuba, paese da cinquant'anni vera spina nel fianco dell'imperialismo Usa.

A questo nuovo criminoso, dal punto di vista giornalistico, attacco anticubano dell'organizzazione al servizio dell'imperialismo e delle sue insostenibili ragioni e prepotenze, risponde Salim Lamrani, docente presso l’Università Paris-Descartes e Università Paris-Est Marne-la-Vallée e giornalista francese, specialista in relazioni tra Cuba e Stati Uniti. Autore di "Cuba di fronte all’Impero: la propaganda, la guerra economica e il terrorismo di Stato", l’ultimo libro pubblicato in francese: "Double Morale. Cuba, l’Union européenne et les droits de l’homme".
Ecco l'articolo di Lamrani che in maniera chiara ed inconfutabile smonta punto per punto le tesi propagandistiche di coloro che vorrebbero erigersi a tutori della libera informazione.
«Il 20 maggio 2009, Reporters Sans Frontières ha rilasciato una dichiarazione su Cuba, in cui si afferma che "chiunque può navigare in Internet ... a meno che non sia cubano."

Per sostenere il suo punto, RSF presenta un video, girato con una telecamera nascosta, in cui a un cubano è vietato l’accesso a internet in un hotel . L’organizzazione aggiunge che un "utente rischia fino a 20 anni di carcere se si pubblica un articolo ’contro-rivoluzionario’ (articolo 91) sui siti internet e cinque anni se effettua illegalmente la connessione a internet."
Infine, RSF ha affermato che "Cuba è la seconda prigione al mondo per i giornalisti, dopo la Cina", sottolineando che "24 professionisti dei media", sono "in carcere sotto il falso pretesto di essere ’mercenari al soldo degli Stati Uniti’ ".
E’ facile mettere RSF davanti alle sue contraddizioni. Infatti, mentre l’organizzazione di Parigi dice che nessun cubano non può collegarsi a internet, mette il link ... "testo della blogger Yoani Sanchez”, che vive a Cuba e che si pronuncia apertamente contro il governo de L’Avana tramite internet. Come fa Sanchez a esprimersi se non ha accesso a Internet?
Il suo ultimo discorso è del 27 maggio 2009.
Ha inoltre scritto il 25 maggio, 23 maggio, 22 maggio, 19 maggio, 18 maggio, 16 maggio, 15 maggio, 13 maggio, 10 maggio, 9 maggio, 7 maggio , 6 maggio, 4 maggio, 2 maggio, 29-28-27-26-25-23 e 21 aprile 2009. Così, nei mesi che precedono la pubblicazione della dichiarazione di RSF su Internet a Cuba, Yoani Sanchez è stata in grado di connettersi a Internet, da Cuba, almeno 18 volte.
RSF non ha esitato a contraddire una pubblicazione con un’altra. Così, in una relazione del marzo 2008 sui giornalisti indipendenti a Cuba, l’entità di Parigi, sottolinea che "il blog di Yoani Sánchez è parte di un più ampio portale, Consenso/Desdecuba.com”, sostenuto da cinque blogger e con la consulenza di una Redazione di sei persone. Il suo scopo è principalmente di commentare l’attualità politica del paese. Il sito pretende di aver superato i 1,5 milioni di click nel febbraio, dopo un anno di esistenza, di cui 800000 sono nel blog Generación Y. Più impressionante, il 26% dei visitatori sono domiciliati a Cuba, al terzo posto dopo Stati Uniti e Spagna. Una semplice domanda: Com’è che "il 26% dei suoi lettori sono cubani" e possono vedere il blog di Sanchez su internet, se è vietato?
RSF ha utilizzato un caso isolato di un hotel cubano, con il trucco della telecamera nascosta, per generalizzare il divieto di internet all’intera isola e stigmatizzare le autorità cubane. Ironia della storia, nella sua dichiarazione del 23 maggio 2009, Yoani Sánchez dice che "ha condotto un sondaggio con una dozzina di blogger in oltre quaranta alberghi in città. Con l’eccezione dell’Occidental Miramar, tutti affermano di non essere a conoscenza del regolamento che ai cubani è vietato l’accesso a internet". La blogger preferita dei media occidentali ha così palesemente contraddetto le asserzioni di RSF.
RSF afferma poi che chiunque pubblichi un articolo critico nei confronti del governo cubano è punito con la reclusione di 20 anni e cita a sostegno il suo articolo 91, senza fornire ulteriori dettagli.
Che cosa dice l’articolo 91 del Codice Penale cubano? Eccolo nella sua interezza: "colui che, a nome di uno Stato estero, svolge un atto al fine di compromettere l’indipendenza dello Stato cubano o la sua integrità territoriale, è tenuto alla pena della privazione della libertà da dieci a venti anni o la pena di morte".
Come è facilmente verificabile, RSF non esita a mentire sfacciatamente. L’articolo in questione non vieta per nulla la pubblicazione di analisi eterodosse su internet. Non limita la libertà di espressione. Punisce gli atti di tradimento della patria.
Con ciò, ricorrendo all’articolo 411-2 del Codice Penale francese ("Il fatto di offrire a una potenza straniera, o a un’organizzazione estera o sotto controllo estero, o ai loro agenti o soldati appartenenti alle forze armate francesi, in tutto o in parte il territorio del paese, è punibile con la detenzione per la vita e 750000 euro d’ammenda") o alla sezione 411-4 ("Il fatto di avere intelligenza con una potenza straniera, o con una organizzazione straniera o sotto controllo estero o con i loro agenti, per generare ostilità od atti di aggressione contro la Francia, è punito con trenta anni di detenzione e l’ammenda di euro 450000. E’ soggetto alle stesse sanzioni per la fornitura a una potenza straniera, impresa estera od organizzazione di proprietà estera o dei loro agenti dei mezzi per avviare le ostilità o compiere atti di aggressione contro la Francia"), si può accusare il governo di Nicolas Sarkozy di repressione contro gli internauti.
Inoltre, basta visitare il blog di Yoani Sánchez, estremamente critico nei confronti della autorità cubane, o leggere gli scritti degli avversari per rendersi conto della mancanza di merito della denuncia da parte dell’organizzazione di Parigi.
RSF attesta inoltre che tutti i cubani sono passibili di "cinque anni se si collegano ad internet illegalmente”.
Qui, l’ente francese si limita a rilasciare una dichiarazione perentoria, senza nemmeno prendersi la briga di citare una legge che, ovviamente, non esiste. Ancora una volta, RSF spara contro la verità.
Infine, RSF ripete la stessa manfrina, assicurando che “24 lavoratori dei media" sono “in carcere sotto il falso pretesto di essere ’mercenari al soldo degli Stati Uniti’ ”.
L’organizzazione non è in grado di mostrare coerenza e rigore nei propri documenti. Infatti, nella versione spagnola di questo articolo, non parla di più di "19 detenuti".
Ma i numeri non importano, la beffa è ancora una volta raddoppiata.
Da un lato, sui "24 professionisti dei media" citati dall’organizzazione, uno è un vero giornalista: Oscar Elias Biscet. Gli altri non avevano mai fatto questo lavoro prima di entrare nel mondo del dissenso.
D’altro canto, questi individui non sono stati condannati per aver emesso una sovversiva produzione intellettuale, ma per aver accettato soldi offerti da Washington, così passando dallo status di oppositore ad agente stipendiato da una potenza straniera, commettendo allo stesso tempo, un reato grave punibile non solo da parte della legislazione cubana, ma dal codice penale di ogni paese nel mondo. Le prove a questo riguardo sono molteplici: gli Stati Uniti riconoscono di finanziare l’opposizione interna a Cuba, e i loro documenti ufficiali l’hanno dimostrato, i dissidenti confessano di ricevere sostegno finanziario da Washington e anche Amnesty International afferma che i detenuti sono stati condannati "per aver ricevuto fondi o attrezzature dal governo degli Stati Uniti per attività percepite da parte delle autorità come sovversive o dannose per Cuba”.
RSF non è una organizzazione degna di credito perché la sua agenda è soprattutto politica e ideologica.
Come si è osservato, è facile mettere l’organizzazione di Parigi di fronte alle sue contraddizioni e rivelarne le sue manipolazioni. D’altronde, RSF non può avere legittimità, perché riconosce di essere finanziata dal National Endowment for Democracy (NED) che non è altro che lo schermo ufficiale della CIA, come il New York Times del marzo 1997 ha osservato: la NED "oè stata creata 15 anni fa per svolgere pubblicamente ciò che la Central Intelligence Agency (CIA), ha fatto per decenni di nascosto".»
Salim Lamrani
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28 maggio 2009

Brescia, 28 Maggio 1974

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In piazza della Loggia "una bomba nascosta in un cestino portarifiuti fu fatta esplodere mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo e il fascismo indetta dai sindacati e dal Comitato antifascista.






L'attentato provocò la morte di 8 persone e il ferimento di altre 94".
Dal discorso di Franco Castrezzati: "La nostra Costituzione, voi lo sapete, vieta la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista. Eppure il Movimento Sociale Italiano vive e vegeta. Almirante che con i suoi lugubri proclami in difesa degli ideali nefasti della Repubblica Sociale Italiana ordiva fucilazioni e ordiva spietate repressioni. Oggi ha la possibilità di presentarsi sui teleschermi come capo di un partito che è difficile collocare nell'arco antifascista e perciò costituzionale...."

E poi la carneficina:
Giulietta Banzi Bazoli, 32 anni
Livia Bottardi Milani, 32 anni
Clementina Calzari Trebeschi, 32 anni
Alberto Trebeschi, 35 anni
Euplo Natali, 69 anni
Luigi Pinto, 25 anni
Bartolomeo Talenti, 55 anni
Vittorio Zambarda, 60 anni
Più altri 94 feriti.
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23 maggio 2009

Macomer (NU) "Lettera dalla Guantanamo italiana: gli abusi contro i prigionieri islamici"

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Condiviso tramite "Movimento Paraculo" di Sytry82


Questa è la lettera di sei detenuti islamici a Macomer (Nu) in Sardegna, trasmessa per la prima volta su facebook da Roberto Di Nunzio.
Chi vuole può copiare integralmente questo post e pubblicarlo nel suo blog. Con la speranza che serva.


"Tanti saluti a voi, spero che la mia modesta lettera troverà tutti voi in buona salute. Vogliamo raccontare alla associazione gli abusi di potere contro i prigionieri islamici che si verificano al carcere di Macomer (Nu) – una piccola Guantanamo nell’isola di Sardegna. Però adesso i prigionieri di Guantanamo stanno meglio di noi che siamo chiusi in questo lager..."
20 Maggio 2009 "Il 4 aprile 2009 sono stato trasferito, con il mio amico Ilhami Rachid, dal carcere di Carinola (Caserta). Quando siamo arrivati in questo carcere, sin dal momento in cui siamo scesi dal blindato, le guardie ci hanno trattato male. A noi, ancora con le manette ai polsi, hanno detto di prendere i nostri sacchi e altra roba. Ho detto alle guardie che con le manette non riuscivo a prendere tutto, in risposta mi hanno messo di forza il sacco sulle spalle trascinato in matricola attorniato da 6 guardie. Il mio amico Rachid si è fermato per chiedere alle guardie il perché di questo trattamento."

"La risposta è stata l’aggressione: hanno cominciato a picchiarlo con colpi di pugno sul collo e alla testa; non mi hanno permesso di aiutarlo: hanno trascinato anche lui in matricola con lo stesso nugolo di guardie. Nella perquisizione che ne è seguita loro non hanno rispettato il Corano. In Italia ho già girato sei carceri, mai ho visto un trattamento come questo. Dopo la perquisizione ci hanno portati nelle celle che si trovano in una sezione uguale al 41 bis: isolamento totale, porta blindata chiusa 24 ore su 24, non vediamo nessun’altro prigioniero, solo guardie; anche il cibo ce lo portano le guardie."
"Ogni volta che usciamo dalla cella veniamo perquisiti palpati, ognuno di noi, da due guardie. Anche i vestiti ce li danno contati, di libri ce ne danno soltanto 5. Al passeggio siamo divisi dagli altri, non possiamo andare con loro, andiamo all’aria solo con quelli della nostra sezione. In questa sezione-lager siamo in 25 prigionieri islamici di diversi paesi del nord Africa."
"L’8 aprile 2009 sono andato a parlare con il comandante, gli ho chiesto il perché di questo regime e del pestaggio contro Rachid. Lui mi ha detto: questo regime resta così fino a quando arriverà un cambiamento dal ministero! Questa storia è una bugia, perché non c’è nessun carcere in Italia in cui chiudono la blindata 24 ore su 24 ore. Sul pestaggio di Rachid ha detto: “noi non abbiamo picchiato nessuno e quando picchiamo facciamo molto male”. (Questa la democrazia in Italia?). La posta che entra in questo carcere ti viene consegnata dopo 25 giorni, in ogni altro carcere la ricevi non dopo 4 giorni che è stata spedita. La tengono bloccata."
"Il giorno 4 aprile 2009 con i miei amici abbiamo cominciato lo sciopero della fame, lo porteremo avanti fino a quando non cambiano questo regime: o ci danno i nostri diritti o ci trasferiscono da questo lager."
"Il 2 maggio due amici che dovevano chiamare le loro famiglie sono stati provocati dalle guardie. A un nostro amico una guardia ha detto “voi siete di Al-Qaeda e non conoscete le guardie sarde come picchiano” e altre parolacce. Lo stesso giorno un amico voleva passare il fornello ad un altro attraverso il lavorante, uno di noi, la guardia ha detto al lavorante di non farlo intimandogli di andare in cella. Mentre stava ancora parlando con la guardia, questa ha chiuso la blindata in faccia colpendogli il braccio. Abbiamo subito fatto una battitura di 25 minuti. Per tutto questo tempo e quando è arrivata la banda delle guardie hanno detto al nostro amico lavorante che la guardia non aveva visto il suo braccio. La mattina dopo quando è andato a parlare gli ha detto di voler fare una denuncia. Il comandante gli ha risposto: “Se tu fai una denuncia, io faccio una denuncia contro di te e ti chiudo dal lavoro.
"Per davvero ci troviamo davanti ad una banda di “criminali!”. Loro hanno trovato un’isola, nessuno sentirà dei loro abusi di potere, però noi non ci fermeremo mai di scrivere fino a quando tutto il mondo avrà sentito come trattano i prigionieri islamici in Sardegna!"
"Alla spesa non portano il giornale per noi. Hanno la scusa pronta: il trasporto non arriva fino qui.
Cari amici di Yairaiha, noi abbiamo bisogno del vostro aiuto per pubblicare la nostra storia e vi chiediamo di intervenire per cancellare la nostra sofferenza perché noi siamo isolati dall’esterno, inoltre siamo stranieri."
Grazie mille, a presto,

Amine Bouhrama
Ilhami Rachid
Rabie Othman Saied
Mourad Mazi
Habib Mohamed
Hossin Dgamel
Tartag Samir
Khelili Fatah
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18 maggio 2009

Quei "selvaggi" dei lavoratori.

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Tutti scandalizzati adesso fanno la gara tra chi usa i termini più gravi per condannare quel che è accaduto.
Ma cosa è successo?
Sabato a Torino si sono riuniti molti lavoratori degli stabilimenti Fiat di Pomigliano d'Arco e Termini Imerese.
Secondo la "versione ufficiale" (giornali, radio e tv), un gruppetto di "facinorosi" dei Cobas hanno "assaltato" il palco dove erano riuniti i delegati sindacali e "scaraventato" giù Rinaldini della Fiom.
Chi era presente, invece, racconta una versione diversa.
Pare infatti, che la tensione sia salita quando è arrivato il momento di far parlare i rappresentanti dei Cobas, come da accordi stabiliti in precedenza. Prima gli si voleva impedire l'intervento, ed è qui che ci sono stati alcuni spintoni in seguito ai quali Rinaldini è caduto (da sottolineare che il cosiddetto "palco" era in realtà una pedana alta una decina di centimetri!); poi, una volta ristabilita la calma, "qualcuno" ha staccato i fili di microfoni e altoparlanti. Ma chi ha tentato di boicottare non ha raggiunto pienamente lo scopo, infatti i lavoratori non hanno abbandonato la scena e hanno ascoltato il discorso dei Cobas.

"Vergogna", "terroristi", "facinorosi", "teppisti", eccetera, questi alcuni termini usati da politici e sindacalisti per stigmatizzare l'accaduto.
Il fatto rilevante è però che nessuno si è fatto male ma quando i lavoratori decidono di alzare la schiena variando la posizione in cui tutti li vorrebbero (a pecorina, per intendersi!), si trasformano in "selvaggi" che "mettono in cattiva luce tutto il movimento" e che meriterebbero, quindi, solo bastonate.
E' evidente che la politica e il sindacato parlano una lingua diversa da quella dei lavoratori, parlano la lingua del padrone!
Essi vogliono difendere il lavoro, ma non gli interessa dei lavoratori.
Basta con questa storia!
Togliamoci una volta per sempre dalla testa l'idea di "società civile", perchè non ha senso parlare di "civiltà" quando i metodi usati dai padroni sono tutt'altro che "civili".
Dopo il disgustoso accordo siglato dal sindacato americano e accolto con giubilo dai nemici dei lavoratori, in molti propongono simili modalità qui da noi. Nessuno però osa spiegare ai lavoratori che il cosiddetto "modello partecipativo" è una porcata senza eguali, l'unica "partecipazione" che si richiede è di accollarsi le perdite, la delocalizzazione, le chiusure di fabbrica, la cassaintegrazione, i licenziamenti. I profitti no!
A quelli non si "partecipa"!
Mi faceva notare un compagno l'uso del termine "lavoro" (e non "lavoratori"!) nell'articolo 1 della nostra Costituzione, e la necessità, già invocata da Lenin a suo tempo, della trasformazione, in particolari periodi, dei sindacati in "sindacati di classe". Credo sia giunto il momento di ridiscutere seriamente questi punti.
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11 maggio 2009

Alla faccia del "modello partecipativo". (di Lurtz)

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Differentemente da quello che alcuni vorrebbero far intendere, il sindacato americano Uaw e i lavoratori della Chrysler non fanno salti di gioia. Piuttosto fanno buon viso a cattivo gioco, dato che non avevano scelta.
Questo si deduce dall'intervista di Francesco Semprini a Harley Shaiken, docente a Berkeley ed esperto di diritto sindacale, su "La Stampa" del 9 maggio.
Vediamo cosa fa pensare a questo.
Domanda: "Quale sarà il ruolo di Uaw nella nuova Chrysler?"

Risposta: "Anzitutto occorre precisare che la quota del 55% non è di Uaw ma è controllata da Verba, il fondo fiduciario che gestisce i piani di assicurazione sanitaria. Il sindacato svolge attività di sorveglianza e nominerà un consigliere sui nove del Board di Chrysler ma non potrà in alcun modo interferire nella gestione ordinaria".
Beh, direi che questo basta e avanza!
Riassumiamo:
1. la quota di maggioranza (ben il 55%!) non è controllata dal sindacato;
2. la suddetta quota dà "diritto" ad un posto da consigliere sui nove previsti (1 su 9!) ma non dà possibilità di intervenire (curioso che Shaiken usi invece il termine "interferire"...) nella gestione, ovvero la minoranza decide!
Personalmente, definisco tutto ciò una buffonata. Ma, magari il mio è un giudizio avventato. Nel caso, qualcuno vorrebbe spiegarmi da che parte stà la convenienza?
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