"Non siamo pacifisti. Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell'interesse del socialismo."
(Vladimir Ilič Ul'janov, Lenin, 1917)

20 gennaio 2010

Cari pennivendoli preparatissimi (di Lurtz)




Riprendendo il suo titolo (ma solo dopo averlo modificato, "Cari bamboccioni impreparati"), vorrei esprimere un paio di considerazioni riguardo all'articolo pubblicato ieri su "La Stampa" e firmato Luca Ricolfi.
Il gentiluomo in questione, compiendo un tortuoso giro su sè stesso e, presumibilmente, con l'intenzione di guadagnarsi lo stipendio, utilizza un'intera colonna del quotidiano (pag. 31) per riproporre la sciocca e, oramai, obsoleta tiritera secondo cui "chi ha voglia di lavorare il lavoro lo trova" (questo virgolettato è mio).
Egli inizia con una spassionata quanto inutile difesa a spadone tratto del ministro venexiano, riguardo all'ultima infelice uscita, poi passa a criticare il metodo scolastico nazionale e, infine, arriva al punto che più gli preme: «[...] Secondo. Ancora una volta un genitore si trova condannato dalla magistratura a mantenere figli ultratrentenni che non trovano un lavoro «adeguato» (l’ultimo caso a Bergamo).
Terzo. Nella crisi gli italiani perdono il lavoro (800 mila posti di lavoro in meno in 2 anni) mentre gli immigrati lo guadagnano (400 mila posti di lavoro in più in 2 anni).
Si potrebbe pensare che dipenda solo dal fatto che gli immigrati sono meno istruiti degli italiani, e per questo motivo si accontentano di lavori poco qualificati. Ma non è così, perché il livello di istruzione medio di italiani e stranieri è quasi identico. La differenza è che gli immigrati vogliono innanzitutto lavorare, e per questo accettano posti molto inferiori al loro livello di qualificazione. Mentre gli italiani pretendono di lavorare in posti adeguati alla loro istruzione formale, e raramente si chiedono se c'è una ragionevole corrispondenza con la loro istruzione effettiva
[...]».

Insomma, il messaggio che si vuole far passare è chiaro: C'è la crisi. Io, padrone, non ho nessuna intenzione di rimmetterci neanche un centesimo quindi riduco all'osso il costo del lavoro. Se ti sta bene, continua a produrre per la metà del tuo salario viceversa ti licenzio, assumo manodopera straniera a bassissimo costo oppure delocalizzo e tu vai a schiattare da un'altra parte.
Questo discorso, personaggi come il Ricolfi non possono capirlo. Questi individui che non vedono, o meglio non vogliono vedere, aldilà del proprio naso, gli stessi che dicono che il precariato (...flessibilità...) è un'opportunità...sì...dall'alto dei loro quattro-cinquemila euro al mese...
Questi gentiluomini che, seduti sulla loro comoda poltroncina di finta pelle e armati (non di lupara) di stilografica d'argento, sostengono quel genere di criminalità che ha scacciato gli extracomunitari da Rosarno (solo quelli che rifiutano la schiavitù, però!) e che concede al padrone Fiat di cassaintegrare Mirafiori e Melfi e di chiudere Termini Imerese.
"Eh...troppo facile prendersela sempre con lo Stato...", penserà qualcuno; "Si rimbocchino le maniche, quelli che vogliono lavorare...", dirà qualcun altro.
Bravi, filistei. Avete ragione (quella dei fessi, ma sempre ragione...).
Peccato che però questo metro di giudizio non venga utilizzato nei confronti di chi non paga i contributi pensionistici, di chi evade il fisco o di chi sposta la produzione in Polonia o in Tunisia perchè là il lavoro costa la metà.
A questi, i pennivendoli alla Ricolfi, riservano solo confortevoli tappeti di saliva.

2 commenti:

Simone ha detto...

Pienamente d'accordo, Uruk.
Probabilmente non converrai con me sulla mia idea di lavoro e di modello economico, ma entrambi siamo concordi nel condannare i maledetti sintomi del capitalismo attuale.

Quello che i pennivendoli come Ricolfi & co. non capiscono è che se la gente arriva ad avere un rapporto conflittuale con la ricerca di lavoro è perché il capitalismo ha distorto il lavoro stesso, riducendolo a oggetto di mercato (non a caso l'espressione "mercato del lavoro" secondo me orrenda e dagli effetti alienanti sulla persona).
In questo mercato il lavoratore è trattato alla stregua di un oggetto qualsiasi in vendita che, se meno vendibile perché costoso o di qualità inferiore, non trova nessuno disposto ad "acquistarlo" e finisce fuori gioco.

A presto, compagno!

UHZ ha detto...

E' vero, sono d'accordo con te. Gli esseri umani, noi, non sono, siamo, utensili.
Ma credo, non in maniera fatalista sia chiaro, che l'attuale modello sia destinato a non durare. I correttivi che dovranno applicare saranno grossi, se non si vuole rischiare il Caos.
Buona giornata, ;)