"Non siamo pacifisti. Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell'interesse del socialismo."
(Vladimir Ilič Ul'janov, Lenin, 1917)

26 giugno 2014

Che fare? (una riflessione di Giuseppe Di Meo)

{questo post è stato riveduto e ampliato}

Karl Marx vedeva nella rivoluzione lo strumento di passaggio transmodale dal capitalismo al comunismo. Ammise per prudenza possibilità riformiste solo per l'Inghilterra dell'epoca, senza esserne affatto convinto. Ebbe piuttosto perplessità sulla possibilità di uno sbocco tramite rivoluzioni di massa analizzando "le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850", sia in opere come quella omonima sia in opere come il "18 Brumaio di Luigi Bonaparte", a causa dello sviluppo tecnico che metteva a disposizione degli apparati statuali armi contro cui nulla si poteva. Friedrich Engels, rivoluzionario, negli ultimi anni della sua vita (fine ottocento) si rese conto che lo sviluppo tecnologico aveva raggiunto livelli tali da rendere impossibili rivoluzioni tradizionali. Sorse così la contraddizione, non voluta, fra la visione che individuava nella rivoluzione l'unico sbocco transmodale possibile e la visione che considerava il riformismo l'unico percorso praticabile (quest'ultimo "elemento" fu poi strumentalizzato dai riformisti delle socialdemocrazie secondinternazionaliste). Furono poi le situazioni reali di inizio novecento a far elaborare a Lenin il modo fattivo per uscire da tale dilemma, con le sue analisi sui nessi dialettici fra contraddizioni interimperialistiche e lotta di classe, fra guerre e rivoluzione, fra ricerca dell'"anello debole della catena imperialista da spezzare" e sbocco rivoluzionario. Bisogna sempre guardare ai rapporti di forza. Anche una tragica guerra mondiale può localmente non essere sufficiente. Basti pensare ai massacri subiti dagli eroici compagni comunisti greci, nel secondo dopoguerra, ad opera degli imperialisti anglo-statunitensi (dopo aver subito quelli nazifascisti). A maggior ragione certi discorsi rivoluzionari sono difficilmente proponibili, soprattutto nell'Occidente capitalista sviluppato e in periodo di pace, con gli apparati militari statuali integri e in piena efficienza ("en passant", quale follia sinistroide è stata la soppressione del servizio militare di leva, togliendo così il controllo democratico e popolare sulle armi. Marx ed Engels sarebbero inorriditi). Ebbe a mio avviso ragione Pietro Secchia (al di là delle banali semplificazioni del suo pensiero compiute dai suoi avversari in mala fede) quando avallò la "democrazia progressiva" come "svolta tattica" (e non strategica) a cui si era giocoforza obbligati. I miglioramenti nella qualità della vita dei lavoratori e delle masse popolari furono determinati dalla ripresa che ogni periodo post-bellico porta con sé; dai perduranti effetti del fordismo, delle soluzioni elaborate per uscire dalla crisi del '29 e del welfare state (che i capitalisti perseguivano per i loro esclusivi interessi, non per senso "democratico"); dalla contrapposizione del mondo in due blocchi (capitalista e socialista) in cui acquisiva maggior peso una forte lotta di classe nei paesi capitalisticamente più sviluppati. Con le crisi degli anni '70, in primo luogo petrolifere e inflazionistiche, entrò in crisi questo modello (e con esso quello keynesiano). Oggi le masse popolari sono sempre più povere, precarizzate, oppresse e sfruttate. Il capitalismo mostra in maniera crescente le proprie contraddizioni, non riuscendo più a mascherare la propria incapacità strutturale a porsi come modo di produzione in grado di generare sviluppo, sia in salsa liberista sia in salsa keynesiana, al di là di quello relativo frutto delle predonerie fra classi e fra nazioni e delle innovazioni tecnico-scientifiche (frenate proprio dal carattere "egoistico" del capitalismo). Il processo di deindustrializzazione, in cui l'aspetto dato dalle delocalizzazioni costituisce solo una faccia della medaglia, è in realtà figlio dello spostamento di ricchezze avvenuto a partire dagli anni '70 dal lavoro al capitale, nella controffensiva padronale che ha provocato la fine della "società della produzione e dei consumi di massa", attenuata solo negli anni '80 dalla decisa immissione delle donne nel mondo del lavoro, con il risultato di avere situazioni familiari, in una breve fase di passaggio, in cui due salari quasi pieni ne avevano sostituito uno pieno (ma aumentando l'esercito salariale di riserva, e stravolgendone le caratteristiche, il risultato ottenuto è che se in precedenza per ottenere i "mezzi di sussistenza per sé e la propria famiglia" occorreva un salario, ora se ne rendono necessari due, se non di più). La fine dell'epoca della produzione e dei consumi di massa ha generato anche una "maliziosa" visione decrescista, nelle due facce di sinistra e di destra, che se da un lato fa leva su questioni reali, come la tutela dell'ambiente, dall'altro è funzionale a far subire drastici peggioramenti delle qualità di vita alle masse popolari. E l'altra faccia della medaglia dello stesso processo, in solidarietà "antitetico-polare", è data dalla persistenza dell'incitamento al "produttivismo" neocorporativista sotto la minaccia della perdita di posti di lavoro, comunque precari, a causa della concorrenza e della "competitività". Il tutto con la globalizzazione, dietro cui si cela l'imperialismo statunitense ad aspirazione egemonica unipolare, che con queste parole d'ordine sta imponendo per i propri interessi la "libera" circolazione di capitali, mezzi di produzione e forza-lavoro nell'interesse dei grandi capitalisti, ponendo in crudele competizione i lavoratori che vedono generalmente peggiorare le proprie condizioni di vita e immiserendo masse popolari e nazioni soccombenti. Anche qui, la questione immigrazione con i due "volti" di sinistra e di destra (pauperizzazione precarizzante da libera circolazione e razzismo) è volutamente dicotomizzata su questioni funzionali agli interessi del capitalismo imperialista. Le ricette della Troika, composta da Commissione Europea, BCE e FMI prescrivono politiche sempre più antidemocratiche e antipopolari, imponendo anche lo smantellamento delle attività produttive dei paesi più deboli (con una UE che non si è di fatto svincolata nelle grandi questioni dalla linea imposta dall'imperialismo a stelle e strisce). Neanche il dato fuorviante del PIL riesce a dare segnali positivi di ripresa nel nostro paese, ove, quand'anche riuscisse un domani a essere positivo, risulterebbe essere solo il dato di una crescita relativa (più facilmente presente nei paesi poveri) di un paese impoverito a cui è stato smantellato il grande apparato produttivo. Certamente bisogna smetterla con il nostro autolesionismo che ci porta a sostenere le contraddizioni secondarie ignorando quelle principali, assumendo in questo modo posizioni controproducenti. Il capitalismo è in crisi e sta affamando masse popolari e nazioni deboli. Oltretutto la crisi strutturale di sistema del capitalismo può indurre, come al solito, a ricercare uno sbocco nella guerra. Libia, Siria, Ucraina. Le provocazioni dell'imperialismo statunitense contro Russia e Cina sono sempre più numerose e aggressive, soprattutto perché lo zio Sam sente la minaccia di una probabile perdita dell'egemonia mondiale. In Ucraina è in corso un genocidio perpetrato dai nazi-golpisti al servizio dell'imperialismo USA. Chi utilizza i golpisti e i nazisti in Ucraina, provocando massacri, è lo stesso che sta immiserendo la nostra società, provocando disoccupazioni di lunga durata, precarizzazioni, povertà, sfruttamento, oppressione. Sono sempre più numerosi coloro che non riescono ad arrivare alla terza settimana del mese, sono sempre più numerose le persone senza casa. Sono sempre più numerosi i suicidi! Il tutto con l'incitamento all'"ignoranza", affinché non si possa più comprendere la situazione in cui ci troviamo, inducendo a ritenere il capitalismo "eterno" e "naturale" e in particolare il capitalismo imperialista statunitense come portatore di "civiltà" e "progresso". Al di là della questione dei rapporti di forza (prioritaria!), due importanti fattori sono dati dall'egemonia culturale statunitense perpetrata tramite la cinematografia e la musica. Il grado di penetrazione in questi due settori è mostruoso! Oltretutto i film statunitensi che "ci entrano in casa" pongono protagonisti e buona parte degli attori comprimari come "nostri genitori", "nostri parenti", "nostri amici", presentando la società statunitense come civiltà "intrinsecamente" buona, tutt'al più attaccata da "poche mele marce" che detto paese riesce a controllare e debellare per il suo "innato" carattere positivo! Siamo comunisti. E antifascisti, antimperialisti, per la lotta, per il governo, per l'autonomia dei comunisti, per le alleanze quando possibile, contro il nichilismo, per l'internazionalismo, per l'attenzione alle questioni nazionali, ecc. Ma tutti questi aspetti non si pongono sempre privi di contraddizioni fra loro. Essere comunisti non vuol dire essere massimalisti. Né minimalisti. Lasciamo queste categorie ai pochi rimasti (invero) socialisti secondinternazionalisti. Un comunista sa essere moderato nella tattica, purché la strategia sia rivoluzionaria. Ma sa anche valutare, di volta in volta, l'importanza della lotta per gli obiettivi rivoluzionari, l'importanza di quelli intermedi, l'importanza del nesso fra strategia e tattica, Sa valutare le contraddizioni. Di volta in volta, può dare la priorità all'antimperialismo o all'antifascismo. Di volta in volta, può dare la priorità al parlamentarismo o alla lotta al nichilismo. Di volta in volta, può dare la priorità all'internazionalismo o all'attenzione per le questioni nazionali. Oggi l'Italia è un paese indipendente? Direi proprio di no! L'Italia è un paese imperialista? Potrebbe sembrare, in quanto paese capitalista occidentale, ma in realtà è al massimo un paese dall'imperialismo straccione che si accoda a quelli più potenti. Più verosimilmente l'Italia è un paese semicoloniale. La contraddizione "capitale-lavoro" non si "dà" sempre in maniera evidente. Essa si cela dietro l'attuale contraddizione principale "imperialismo USA-antimperialismo". Valuto di conseguenza chi maggiormente ostacola le volontà di Washington. Purtroppo oggi il mondo non è più diviso in due blocchi e quand'anche si riuscisse a mobilitare tutto il proletariato (alquanto utopistico), difficilmente riuscirebbe ad avere rapporti di forza favorevoli. Esso non avrebbe il potente sostegno del blocco socialista che a lungo ha indotto i capitalisti (fino alla fine degli anni '70 - inizio anni '80, con Gorbaciov che rese poi più agevole la controffensiva capitalista), minacciati sul fronte esterno e su quello interno, a non irritare troppo i lavoratori. Siamo ben lontani dalle grandi mobilitazioni di classe del passato e, purtroppo, dalle grandi sconfitte, e i lavoratori sono indotti allo sconforto e alla rassegnazione per la sterilità delle proprie lotte. Pensare a ipotesi "riformiste" oggi, con la globalizzazione, con la "libera" circolazione di capitali, di mezzi di produzione e di forza-lavoro, con le delocalizzazioni e con la spietata concorrenza fra lavoratori è utopistico. Il riformismo è oggi praticamente morto! Anche quello a difesa dell'esistente e perfino quello del "meno peggio"! Men che meno vi sono le condizioni per uno sbocco rivoluzionario. Dunque "che fare" ? Tra l'altro, citando questa domanda in modo virgolettato, intendo sottolineare l'importanza, ancora oggi, della forma-partito rispetto a tutte le strampalate astrusità antidemocratiche vertenti sulla retorica della "società civile". Basarsi esclusivamente sulla diretta e frontale contraddizione capitale-lavoro, puntando alle sole lotte proletarie o addirittura a prospettive rivoluzionarie proletarie "pure" (pur rimanendo il comunismo la nostra prospettiva strategica), è oggi utopistico e velleitario. Si ripresenta così la necessità di guardare alle grandi contraddizioni internazionali. Tanto più oggi, con il mondo minacciato dalla pretesa egemonica del capitalismo imperialista statunitense che aspira al dominio planetario unipolare, con il rischio di riuscire a "blindare" il capitalismo per chissà quanto tempo e a "soffocare" ogni contraddizione, impedendo così ai comunisti, ai lavoratori, alle masse popolari e ai popoli resistenti di inserirsi con le proprie lotte. Guardando nel frattempo, noi comunisti, al di là della propaganda totalitaria a noi ostile, innanzitutto all'unità dei comunisti e poi a una politica di alleanze, quando possibili, che vada dialetticamente al di là del recinto ideologico settario della sinistra, tanto più che essa, oggi e in Occidente, si rivela essere troppo spesso lo schieramento ideologicamente o addirittura fattivamente più allineato alle posizioni del capitalismo imperialista statunitense! Lenin invitava i comunisti a essere spregiudicati. I capitalisti hanno recepito la lezione leniniana. Noi no.

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