"Non siamo pacifisti. Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell'interesse del socialismo."
(Vladimir Ilič Ul'janov, Lenin, 1917)

25 giugno 2014

Che fare? Una riflessione (di Giuseppe Di Meo)

Karl Marx vedeva nella rivoluzione lo strumento di passaggio transmodale. Ammise per prudenza possibilità riformiste solo per l'Inghilterra dell'epoca, senza esserne affatto convinto. Ebbe piuttosto perplessità sulla possibilità di uno sbocco rivoluzionario di massa analizzando "le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850", sia in opere come quella omonima sia in opere come il "18 Brumaio di Luigi Bonaparte", a causa dello sviluppo tecnico che metteva a disposizione degli apparati statuali armi contro cui nulla si poteva. Friedrich Engels, rivoluzionario, negli ultimi anni della sua vita (fine Ottocento) si rese conto che lo sviluppo tecnologico aveva raggiunto livelli tali da rendere impossibili rivoluzioni tradizionali. Sorse così la contraddizione, non voluta, fra la visione che individuava nella rivoluzione l'unico sbocco transmodale possibile e la visione che considerava il riformismo l'unico percorso praticabile (quest'ultimo "elemento" fu poi strumentalizzato dai riformisti delle socialdemocrazie secondinternazionaliste). Furono poi le situazioni reali di inizio novecento a far elaborare a Lenin il modo fattivo per uscire da tale dilemma, con le sue analisi sui nessi dialettici fra contraddizioni interimperialistiche e lotta di classe, fra guerre e rivoluzione, fra ricerca dell'"anello debole della catena imperialista da spezzare" e sbocco rivoluzionario. Bisogna sempre guardare ai rapporti di forza. Anche una tragica guerra mondiale può localmente non essere sufficiente. Basti pensare ai massacri subiti dagli eroici compagni comunisti greci, nel secondo dopoguerra, ad opera degli imperialisti anglo-statunitensi (dopo aver subito quelli nazifascisti). A maggior ragione certi discorsi rivoluzionari sono difficilmente proponibili, soprattutto nell'Occidente capitalista sviluppato e in periodo di pace, con gli apparati militari statuali integri e in piena efficienza ("en passant", quale follia sinistroide è stata la soppressione del servizio militare di leva, togliendo così il controllo democratico e popolare sulle armi. Marx ed Engels sarebbero inorriditi). Ebbe a mio avviso ragione Pietro Secchia (al di là delle banali semplificazioni del suo pensiero compiute dai suoi avversari in mala fede) quando avallò la "democrazia progressiva" come "svolta tattica" (e non strategica) a cui si era giocoforza obbligati. I miglioramenti nella qualità della vita dei lavoratori e delle masse popolari furono determinati dalla ripresa che ogni periodo post-bellico porta con sé; dai perduranti effetti del fordismo, delle soluzioni elaborate per uscire dalla crisi del '29 e del welfare state (che i capitalisti perseguivano per i loro esclusivi interessi, non per senso "democratico"); dalla contrapposizione del mondo in due blocchi (capitalista e socialista) in cui acquisiva maggior peso una forte lotta di classe nei paesi capitalisticamente più sviluppati. Con le crisi degli anni '70, in primo luogo petrolifere e inflazionistiche, entrò in crisi questo modello (e con esso quello keynesiano). Il processo di deindustrializzazione, in cui l'aspetto dato dalle delocalizzazioni costituisce solo una faccia della medaglia, è in realtà figlio dello spostamento di ricchezze avvenuto a partire dagli anni '70 dal lavoro al capitale, nella controffensiva padronale che ha provocato la fine della "società della produzione e dei consumi di massa", attenuata solo negli anni '80 dalla decisa immissione delle donne nel mondo del lavoro, con il risultato di avere situazioni familiari, in una breve fase di passaggio, in cui due salari quasi pieni ne avevano sostituito uno pieno (ma aumentando l'esercito salariale di riserva, e stravolgendone le caratteristiche, il risultato ottenuto è che se in precedenza per ottenere i "mezzi di sussistenza per sé e la propria famiglia" occorreva un salario, ora se ne rendono necessari due, se non di più). Oggi il mondo non è più diviso in due blocchi e quand'anche si riuscisse a mobilitare tutto il proletariato (alquanto utopistico), difficilmente riuscirebbe ad avere rapporti di forza favorevoli. Esso non avrebbe il potente sostegno del blocco socialista che a lungo ha indotto i capitalisti (fino alla fine degli anni '70 - inizio anni '80 e Gorbaciov rese poi più agevole la controffensiva capitalista), minacciati sul fronte esterno e su quello interno, a non irritare troppo i lavoratori. Siamo ben lontani dalle grandi mobilitazioni del passato e, purtroppo, dalle grandi sconfitte, e i lavoratori sono indotti allo sconforto e alla rassegnazione per la sterilità delle proprie lotte. Pensare a ipotesi "riformiste" oggi, con la globalizzazione, con la "libera" circolazione di capitali, di mezzi di produzione e di forza-lavoro, con le delocalizzazioni e con la spietata concorrenza fra lavoratori è utopistico. Il riformismo è oggi praticamente morto! Anche quello a difesa dell'esistente e perfino quello del "meno peggio"! Men che meno vi sono le condizioni per uno sbocco rivoluzionario. Dunque "che fare"? Basarsi esclusivamente sulla diretta e frontale contraddizione capitale-lavoro, puntando alle sole lotte proletarie o addirittura a prospettive rivoluzionarie proletarie "pure", è oggi utopistico e velleitario. Si ripresenta così la necessità di guardare alle grandi contraddizioni internazionali. Tanto più oggi, con il mondo minacciato dalla pretesa egemonica del capitalismo imperialista statunitense che aspira al dominio planetario unipolare, con il rischio di riuscire a "blindare" il capitalismo per chissà quale periodo storico e a "soffocare" ogni contraddizione, impedendo così ai comunisti, ai lavoratori, alle masse popolari e ai popoli resistenti di inserirsi con le proprie lotte. Guardando nel frattempo, noi comunisti, a una politica di alleanze, quando possibili, che vada dialetticamente al di là del recinto ideologico settario della sinistra, tanto più che essa, oggi e in Occidente, si rivela essere troppo spesso lo schieramento ideologicamente o addirittura fattivamente più allineato alle posizioni del capitalismo imperialista statunitense! Lenin invitava i comunisti a essere spregiudicati. I capitalisti hanno recepito la lezione leniniana. Noi no.

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