"Non siamo pacifisti. Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell'interesse del socialismo."
(Vladimir Ilič Ul'janov, Lenin, 1917)

26 ottobre 2010

I lavoratori del comparto "servitù" (di Lurtz)

Personalmente non sento di avere difetti di dignità nel fare il lavoro che faccio, però che fatica.
Non fisica, a quella in qualche modo ci si abitua, ma mentale. E credo che sia così per tutti quelli che, appunto come me, svolgono quel genere di lavoro che io definisco "di servitù": colf, baristi, camerieri, commessi, custodi di stabile, eccetera. Si badi, non chi ha "semplicemente" a che fare col pubblico, ma chi lo "serve" il pubblico (e il privato, ovviamente).
Perché non importa "chi" sei, ma solo "cosa" fai.
Come dicevo, non ritengo che chi pulisce un cesso o porge un piatto o rimette ordine una casa (altrui) sia un essere inferiore. E chi lo fa non deve sentirsi tale.
Si può benissimo possedere una o più lauree o non avere nemmeno terminato il corso obbligatorio di studi, non per questo si dovrebbero patire vessazioni di alcun tipo se si svolge un lavoro cosiddetto "umile". Eppure la realtà è diversa.
Infatti, nell'immaginario collettivo, chi "serve" è "servo" e, in quanto tale, deve essere comandato a bacchetta e/o trattato da sub-umano.
E tutto ciò aldilà del trattamento riservato da parte del padrone.
Mi riferisco infatti, in primo luogo, al comportamento di chi usufruisce del servizio e di chi "vede" la situazione da fuori.
La prima umiliazione che si tenta di fare ingoiare si espleta quando si parla con altre persone. Ad esempio, mi è capitato di sentirmi dire: "Perché fai questo lavoro? Una persona come te potrebbe ambire a ben altro che lavare i pavimenti". Oppure genitori che dicono ai figli: "Potresti fare il cameriere, in attesa di un lavoro come si deve".
Non casualmente, questi lavori vengono svolti in maggior percentuale da stranieri, al punto che il sottoscritto a causa del cognome di origine sarda si sia sentito domandare: "Ma lei è italiano?".
Poi c'è la questione del rapporto col padrone.

Chi svolge questi lavori, nella maggior parte dei casi, rientra nella categoria di dipendente di "aziende con meno di 15 dipendenti". E qui si ride, amaramente.
Queste categorie non beneficiano degli ammortizzatori sociali; sono meno tutelate in caso di licenziamento (art. 18, questo sconosciuto...); e altro punto dolente è la questione contrattuale, nel senso che, se non si lavora in nero, il contratto è un miraggio.
L'erba del vicino è sempre più verde, e infatti capita di sentirsi dire: "Ah, beato te che fai il barista. Sempre a contatto con bella gente. Un lavoro creativo che da soddisfazioni", peccato però che la vita reale non sia propriamente quella che si vede nei film. L'entusiasmo scema via via davanti al fatto che servire caffè e cappuccini tutti i giorni alla stessa ora e sempre alle stesse persone non è poi così differente dall'assemblare pezzi in un'officina metalmeccanica, con la differenza che, nel caso dei baristi, si è costretti a indossare scomodi papillon, avere un sorriso stampato in faccia anche se hai appena ricevuto l'ingiunzione di sfratto e che se ti scappa di dover pisciare può anche capitare di doverla trattenere per intere mattinate.
Mi auguro che non si fraintenda il fatto che qui non si sta sostenendo che lavorare in fabbrica sia meglio o più bello, ma semplicemente che ogni impiego ha i suoi pro e i suoi contro.
Una grossa differenza, sempre all'interno di determinate categorie, sta nel fatto che l'orario di lavoro non è quasi mai rispettato.
Per esempio, e parlo per esperienza personale, a chi svolge la mansione di "custode di stabile"solo per il fatto che, nella maggior parte dei casi, abita nello stesso luogo dove lavora viene "velatamente" imposto che la disponibilità sia valida 24 ore su 24: spesso durante la pausa pranzo capita di dover ritirare pacchi consegnati da corrieri oppure, meno spesso ma comunque da non sottovalutare, capita che la sera dopo cena qualche inquilino abbia scordato le chiavi di casa, e altre "cosucce" del genere. "Cosucce", fino ad un certo punto dato che non se tiene conto nella retribuzione.
Oppure, un altro esempio può essere quello riferito alle "donne di servizio", le colf, le quali, nella stragrande maggioranza dei casi, vengono "affittate" in nero per poche ore alla settimana e magari si trovano costrette a lavorare a un tenore di cottimo per svolgere tutte le "faccende" entro l'orario stabilito.
Oltre che per la necessità di esternare una situazione di disagio personale, ho voluto parlare di tutto ciò perché troppo spesso ci si dimentica che nella categoria generica dei lavoratori rientrano molte sottocategorie a cui non si fa quasi mai riferimento.
Si sente spesso parlare di "contratti collettivi nazionali", di "lavoratori della pubblica amministrazione", di "metalmeccanici", di "dipendenti della scuola", eccetera, ma quando si parla di tutti gli altri ci si riferisce ad una generale categoria di "lavoratori".
Questi non partecipano a scioperi e manifestazioni per diversi motivi, tra cui il fatto che non si sentono realmente tutelati dai sindacati, che non si sentono realmente rappresentati nelle proteste e perché rischiano realmente il licenziamento nel caso di sciopero.
Ma sono anch'essi lavoratori, nè più nè meno di tutti gli altri.
Anche questa è, a mio parere, una ragione per sottolineare l'esigenza di formazione di un vero sindacato di classe.
Un organismo, insomma, che non distingua le categorie privilegiandone alcune nelle lotte.

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