"Non siamo pacifisti. Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell'interesse del socialismo."
(Vladimir Ilič Ul'janov, Lenin, 1917)

15 novembre 2009

Raccogliere i frutti è inutile se sono marci.

Che i delinquenti non siano tutti uguali davanti alla legge e davanti all'opinione pubblica, ormai, è un fatto.
Nell'ignoranza dilagante, quindi non più situazione periodica ma determinazione culturale acquisita, ci si muove a tentoni e la luce guida è il luogo comune, la generalizzazione.
Ma anche la generalizzazione, appunto, deve rispettare canoni precisi.
Vedremo più avanti, però, che esiste una categoria che ha diritto a privilegi e questo avverrà a rischio di apparire banali.
Sfogliando il giornale, davanti ad un paio di fotografie si è sviluppata questa mia convinzione.
Nel primo caso, una serie di fotografie ritraevano Stefano Cucchi in tre diverse situazioni: una normale fototessera, quella segnaletica fatta dalla Polizia (in cui sono evidenti i segni delle percosse) e quella in cui è già cadavere prima dell'autopsia.
Ecco, se guardiamo la foto segnaletica con gli occhi del pregiudizio e senza ammettere alcun tipo di giustificazione giungiamo senza difficoltà alla conclusione lombrosiana e affermare: "Ma guarda che faccia da delinquente!", viso scavato, mascella pronunciata, eccetera, tutta una serie di caratteristiche "tipiche" del pregiudicato, del criminale abituale.
Se invece proviamo a spogliarci dei pregiudizi e la guardiamo con gli occhi della persona, ci accorgiamo che è semplicemente la foto di un essere umano. Che magari aveva problemi con l'uso delle droghe e che può anche darsi che abbia commesso qualche piccolo crimine (furtarelli, ecc.), ma comunque semplicemente una persona. Nè più, nè meno.
Il secondo caso, invece, ritrae alcuni giovanotti che sistemano uno striscione su cui è scritto: "Il prossimo potresti essere tu!", con la relativa didascalia che recita: "Uno striscione di protesta contro la violenza degli zingari nelle strade di Alba Adriatica", probabilmente opera dell'articolista Ferruccio Sansa.
Qui più che la foto, desta sdegno la didascalia.
Interrogato al termine "Zingaro", lo Zingarelli (ironia della sorte...) recita:" 1. Appartenente a una popolazione originaria dell'India, diffusasi in Europa sino dal XII secolo, caratterizzata da nomadismo, attività saltuarie e ricche tradizioni etniche.
2. (spregiativo) Persona dall'aspetto sciatto e trasandato."
Potremmo fare molti giri di parole giustificativi, ma sappiamo bene che l'uso di quel termine è effettuato esclusivamente con accezione negativa, non casualmente, infatti, il titolo dell'articolo è: "I rom spariti dopo l'omicidio di Emanuele".
Il titolo, a due colonne, rimane nell'ambito del politicamente corretto, la didascalia, meno evidente, invece è di stampo razzistico e discriminatorio. Attenzione però, perchè la discriminazione è, in questo caso, verso un'intera etnia e non rivolta a episodi delinquenziali (risulterebbe, forse, meno fastidiosa ma ugualmente scorretta).
A questo punto, mettiamo sull'altro piatto della bilancia un Lapo Elkann che, nonostante l'abuso di droghe non ha mai soggiornato nelle patrie galere ma anzi ha trasformato la sua "disavventura" in punto di forza e redenzione, oppure un Vittorio Sgarbi che, di tanto in tanto, usa anche le mani per far valere le proprie ragioni ma ciò nonostante non ci si sogna nemmeno di additarlo come appartenente ad una infima razza di "maneschi lombardi".
Anzitutto si badi che qui nessuno vuole giustificare in nessuna maniera alcuna forma di delinquenza, semplicemente si vuole sottolineare la mancanza di giudizio indipendentemente dalla provenienza sociale e o etnica, consapevoli però, che questo non è possibile in una società di tipo capitalistico.
In secondo luogo, nonostante appaia banale o scontata, la questione da considerare non è così semplice.
Diversamente da quel che può sembrare il problema, a mio parere, non rientra più nell'ambito dell'apparenza, marchio di fabbrica della società moderna mediatica, ma è un "naturale" frutto di un'inseminazione perversa.
Tutto ciò rientra nella visione ultranichilistica dell'Ultimo Uomo di nietzscheana memoria la cui parola d'ordine è "Si salvi chi può!".
Giovani che crescono col mito del "volere è potere" ed "educati" da adulti che non hanno altro scopo che la carriera, che cercano di prendersi (in molti casi anche e soprattutto con la violenza) ciò che credono gli spetti e nessuno gli dà; trenta e quarantenni disillusi da anni di sacrifici e di duro lavoro che finiscono col decidere di rovinarsi la propria e/o rovinare la altrui vita; vips che alla faccia di tutto e tutti stragodono e vengono deificati mentre sputazzano e scoreggiano addosso agli stessi che li venerano; poliziotti a cui, dopo tanto lavoro per dare la caccia ai criminali, viene scippato il merito in nome di "immunità" varie.
Ecco come si genera il caos.
Non è un luogo comune affermare che i media giocano un ruolo determinante nella educazione di un popolo (e non vuole essere questo un atto d'accusa verso essi). L'errore è considerare i media il solo elemento educativo corretto.
Sono strumenti d'educazione ma funzionali al sistema dominante, non potrebbe essere altrimenti e solo gli idealisti o gli sciocchi possono pensare che non sia così.
Banalità? Solita solfa? Luoghi comuni?
Forse.
Ma anche verità.
Guardiamoci intorno. E poi riparliamone.

Nessun commento: