"Non siamo pacifisti. Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell'interesse del socialismo."
(Vladimir Ilič Ul'janov, Lenin, 1917)

23 settembre 2011

Intervista a Jacques Delors, 13 settembre 2011

0 commenti
Jacques Delors conosce i peccati originali dell’euro.
Presidente della Commissione europea tra il 1985 e il 1995, ha visto nascere l’Unione economica e monetaria a Maastricht.
Di crisi politiche, quand’era al vertice dell’Unione, ne ha viste tante, ma quella che riguarda l’euro lo inquieta oltre misura. Non perché sia insormontabile, ma perché è sintomo della disgregazione dei principi per i quali l’Europa si è battuta.
Ai microfoni di Euronews ha espresso la sua rabbia ma anche il suo pragmatismo. Per colui che la stampa ha soprannominato ‘Signor Europa’, la crisi del debito potrebbe essere contenuta grazie a strumenti che la zona euro ha già a disposizione.
Laura Davidescu, euronews:
Jacques Delors, benvenuto. Per prima cosa ci dice che sentimenti prova quando vede così in difficoltà il più grande progetto dell’Unione europea?Jacques Delors, ex presidente della Commissione europea e fondatore del Think Tank ‘Notre Europe’:
Mi preoccupo e mi rammarico. Soprattutto perché, quando hanno approvato l’euro, con la decisione del 1997, hanno rifiutato la mia idea, in base alla quale, a fianco del patto di stabilità finanziaria, ci sarebbe dovuto essere anche un patto di coordinamento delle politiche economiche”.
euronews:
Chi lo ha rifiutato?
Jacques Delors:
Penso che siano stati tutti i capi di governo ad averlo rifiutato. Se lo avessimo avuto, per prima cosa l’euro non sarebbe stato soltanto protetto dalle sciocchezze che alcuni hanno potuto fare. L’euro sarebbe stato stimolato e in più, discutendo tra loro, i Paesi si sarebbero accorti che il debito in Spagna stava aumentando in modo pericoloso, che il governo irlandese non si stava preoccupando della folle esposizione delle sue banche e così via. Ma non l’hanno fatto”.
euronews:
Ma allora perché, le chiedo di nuovo?
Jacques Delors:
Perché? Perché (lasciando da parte questo episodio sul patto di coordinamento delle politiche economiche, su cui ora stanno ritornando, sotto una forma o un’altra, ma un po’ in ritardo) il problema che si era posto con le difficoltà della Grecia era semplice: dobbiamo applicare il ‘no bail out’, che è nel trattato, e che non prevede aiuti sistematici ad un Paese se è in difficoltà? O l’eurogruppo si deve considerare moralmente responsabile per non aver visto il degradarsi della situazione in diversi Paesi e, in quanto moralmente responsabile, prenda delle decisioni politiche per farsi carico del problema? È la tesi che ho difeso, soprattutto con i tedeschi, dicendo loro: ‘Noi siamo collettivamente responsabili, non possiamo semplicemente trattare la Grecia come il brutto anatroccolo’ “.
Read more...

10 settembre 2011

Sciopero generale: in 10000 a Teramo (Erman Dovis)

2 commenti
"La nostra citta' non ha mai ricordato una cosi imponente manifestazione di protesta", con queste parole si è aperto il servizio di una tv locale che presentava la manifestazione regionale svoltasi a Teramo, in occasione dello Sciopero Nazionale indetto dalla Cgil per protestare contro una manovra finanziaria ingiusta e classista, che nel contesto regionale abruzzese assume una specificita' ancora piu' drammatica visti i risvolti post-terremoto e la drammatica statistica degli incidenti sul lavoro, una vera mattanza per la nostra regione.
Fin dalle nove del mattino, nei pressi del tribunale, si andava formando il concentramento operaio e cittadino che da li a poco sarebbe partito in corteo.
Ed il corteo è stato bellissimo, ha attraversato tutto il corso vecchio al canto di Bandiera Rossa, Bella Ciao e dell'Internazionale.
Entrando in Piazza Martiri prima, ed imboccando corso S.Giorgio successivamente, l'impatto visivo offerto è stato emozionante: una citta' colorata di rosso, piena di bandiere e di cartelli, ma soprattutto di donne e di uomini che vogliono tornare ad essere protagonisti del loro quotidiano. Gli slogan scanditi con forza racchiudevano certo preoccupazione, ma non rassegnazione: erano anzi segnale di combattivita' e di resistenza, di voglia di lottare. Mi preme sottolineare, per testimonianza diretta, la presenza a titolo personale di lavoratori tesserati Cisl, in evidente contraddizione con la linea del loro sindacato.
Sul palco della piazza, per il comizio finale, si sono succeduti i vari esponenti sindacali della regione. Ma la mia attenzione si è soffermata in particolare sulla testimonianza del sindaco di Gessopalena (CH) che ha denunciato come i tagli ai piccoli comuni potranno cancellare l'identita' storica e culturale di fondamentali realta' abruzzesi.
I dati forniti dalla Cgil parlano di un'adesione nelle fabbriche attestata oltre il 40% per quelle piu grandi, mentre in quelle medie e piccole è oscillata mediamente tra il 60 e il 70 %.
A mio modesto parere è un ottimo risultato tenuto conto di come la Cgil stessa avesse tentennato di fronte alla prospettiva estrema dello sciopero, che solo la tenacia della classe operaia ha saputo imporre. Siamo infatti coscienti che questa manifestazione nazionale non risolve le contraddizioni del maggiore sindacato del paese, ma dobbiamo guardare la questione in un'altra ottica: è proprio nel momento in cui la classe operaia irrompe nel conflitto di classe che crea le condizioni per sospingere in avanti il sindacato, e le contraddizioni emerse nella Cisl, proprio in relazione a questi eventi, ne sono la conferma piu' evidente. La classe operaia del resto non è avventurista, ed impone azioni unitarie a prescindere dalle varie sigle confederali, a dispetto di ridicoli personalismi che dividono ed indeboliscono la protesta.
La manifestazione del 6 settembre ha lanciato al paese un segnale forte: la consapevolezza di classe ancora non si materializza compiutamente, ma ne si intravede l'immensa potenzialita'.
Cambiare si puo', avanzare si deve: dobbiamo solo volerlo.
Read more...

4 settembre 2011

"L'insostenibile adesione della sinistra italiana ed europea all'imperialismo." (GaspareSciortino)

0 commenti
«Noi eravamo per la trattativa prima della guerra, siamo per la trattativa oggi. Pensiamo che la costruzione di una Libia democratica, liberata dal dittatore Gheddafi e dalle sue camarille senza diventare un protettorato dei bombardatori sia l’unico obiettivo legittimo. Prendiamo atto che non è così per coloro che hanno fatto l’ennesima guerra umanitaria e la distanza da loro non è solo politica ma anche morale».
Le precedenti parole sono del segretario di Rifondazione Comunista in un articolo pubblicato su Liberazione il 2 settembre.
Nell'articolo il segretario di Rifondazione espone anche un punto di vista corretto circa l'ipocrisia della guerra umanitaria in realtà fatta per il puro interesse di impadronirsi del petrolio libico da parte dell'alleanza atlantica così come della resistibile menzogna sottesa alla risoluzione n. 1973 con la quale si dovevano "proteggere i civili". Parla naturalmente anche dell'informazione con l'elmetto e dell'attuale scomparsa del protagonismo dell'Onu nell'attuale frangente delle carneficine compiute dai mercenari della Nato, dopo aver aperto e legittimato lo scenario di aggressione e guerra. Ma il punto dirimente dell'intero articolo che ne costituisce la sintesi e l'indirizzo politico è il passo finale da me citato. “Pensiamo che la costruzione di una Libia democratica, liberata dal dittatore Gheddafi e dalle sue camarille senza diventare un protettorato dei bombardatori sia l’unico obiettivo legittimo.
Quindi nei fatti Ferrero concorda che era un obbiettivo legittimo costruire, da parte di soggetti terzi, diversi dal popolo libico, una Libia “democratica”. A questo punto l'interventismo della Nato e dei suoi bombardieri potrebbe essere soltanto un incidente di percorso, una contraddizione che poteva essere evitata!
Bisognava, in effetti...”liberare la Libia dal dittatore Gheddafi e dalle sue camarrille !”.
In questa breve frase è concentrata tutta la miseria del pensiero della sinistra italiana (ma anche europea...leggere analoghi articoli del quotidiano dei comunisti francesi) e la sua perdita di orientamento nell'attuale assetto unipolare del pianeta contrapposto ai nuovi poli emergenti (Cina, India, Venezuela, nonché la vecchia Russia).
Nei fatti si confessa in maniera abbastanza palese l'adesione all'orizzonte euroamericano sia in termini ideologici, cioè i valori della democrazia e dei diritti civili, sia in termini economici il cui grimaldello è proprio la guerra imperialista, della quale però non si accetta l'efferatezza e l'ipocrisia!
Niente male Ferrero!
Adesso credo sia chiaro perchè la sinistra italiana, non ha mosso un dito (con l'onorevole eccezione della piccola area organizzata dell'Ernesto che quantomeno si è spesa in un'opera di controinformazione militante sui social network) prima e durante l'aggressione imperialista. Non a caso anche Ferrara (esponente di una destra antinterventista quantomeno a parole) se ne è accorto dalle pagine del suo quotidiano e ha potuto sbeffeggiare i pacifisti per la loro adesione all'oltranzismo della fazione democratica americana.
Il pacifismo senza se e senza ma di ieri (Iraq, Serbia) che non riusciva a distinguere tra aggressore e aggredito, ma che ad ogni modo portò in piazza centinaia di migliaia di persone si è trasformato in astensionismo critico (né con la Nato né con Gheddafi) circa la contesa geopolitica considerata affare interno agli assetti imperiali.
Nei fatti una posizione “foglia di fico” che nasconde la sostanziale adesione all'orizzonte strategico occidentale e atlantico (in politica non fare equivale ad aderire a qualcosa d'altro!) e l'adesione ad un indifferenzialismo cinico e neoqualunquista quando, addirittura, non suffragato da analisi sedicente marxista (vedi le risibili produzioni di Antonio Moscato e Sinistra Critica nonché dei sedicenti trotzkisti francesi consulenti di Sarkozy che avvalorano la tesi della rivoluzione libica e scoprono nientedimeno le magliette di Che Guevara tra i “ribelli”).
Non intendo spendere una parola in questa breve nota circa le ragioni geostrategiche dell'imperialismo nell'attuale fase di drammatica crisi del capitalismo occidentale come foriere dell'ennesimo scenario di aggressione e di guerra di inizio secolo. Presuppongo che i lettori di questa nota siano sufficientemente colti e informati.
Read more...