"Non siamo pacifisti. Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell'interesse del socialismo."
(Vladimir Ilič Ul'janov, Lenin, 1917)

7 gennaio 2011

"Mors tua vita mea? È vero consumismo" (a cura di Lurtz)

Articolo interessante e a tratti condivisibile.
Critico verso la società nichilista, ma ancora impigliato nelle spire della visione del capitalismo come "fine della Storia".
Infatti la conclusione a cui giunge è: questo sistema "uccide" la persona, non rimane altro da fare che pregare.  






di Lorenzo Fazzini (http://www.avvenire.it/Cultura/Mors+tua+vita+mea+vero+consumismo_201012080858500300000.htm)

«Una ricerca compiuta a Princeton alla fine degli anni ’80 ha rilevato che una ragazza adolescente su quattro riferiva di sentirsi "estremamente depressa". Più tempo passavano a fare shopping, ad andare dalla parrucchiera o a truccarsi, più si deprimevano».
Per padre John Kavanaugh, gesuita americano, questo scadente gusto della vita ha un nome: consumismo. Che costituisce un realtà dilagante tramite la globalizzazione. Ad essa resiste un altro modello sociale, che possiede una radice religiosa (in realtà ebraico-cristiana) ed è condivisibile pure da chi non si ispira ad un credo.
Lo "scontro" è dunque fra «il vangelo dell’essere Persona e quello della Merce: il Modello personale e il Modello consumista; il dio-Persona e il dio-Oggetto». Kavanaugh, commentatore per il prestigioso settimanale cattolico America, docente di filosofia alla Saint Louis University, nel Missouri, raffronta questi due sistemi di pensiero e vita in "Seguire Cristo in una società consumista" (pagine 238, euro 15) che la Emi pubblica in una nuova versione (la prima uscì nel 1986 per Cittadella). Il saggio è notevole per l’acuta lucidità di analisi, la sagace qualità dell’impostazione, l’autentica profezia nelle proposte. Il gesuita Usa supera infatti il settorialismo di tanta saggistica cattolica perché presenta la dottrina della Chiesa nella sua integralità, sulla scia di Giovanni Paolo II, così ricordato: «Attirava la gente perché viveva secondo la sua fede. Che era una fede integrale. Essere discepoli significava per lui seguire Cristo in tutte le questioni di sessualità, proprietà e potere».
Qui vi è in nuce la tesi di Kavanaugh: mostrare come la dottrina cattolica penetri ogni ambito della vita umana per esaltare la dignità della persona contro ogni riduzionismo. Finiscono sotto la lente dell’acuto osservatore il consumismo materiale e affettivo: vien criticata la moda di «vivere alla Madison Avenue» (una via di Manhattan) ma anche la strage di matrimoni operata da una cultura pro-divorzio.

Kavanaugh diventa sferzante quando denuncia che «mentre la religione si è secolarizzata, il comprare e il consumare sono diventati veicoli per fare esperienza del sacro. L’eternità si trova nei flaconi di profumo di Calvin Klein, l’infinito in un’automobile giapponese». Sul fronte bioetico la denuncia anti-consumistica è forte: «Alcune compagnie assicurative di New York pagano volentieri per le interruzioni di gravidanza, ma non per i parti.
Donne di Bedford Stuyvesant (a Brooklyn, emblema della povertà yankee, ndr), analfabete ma desiderose di dare alla luce figli, si rivolgono ai servizi sociosanitari per avere consigli sulla maternità e vengono indirizzate alla fila delle richieste di aborto». Per il gesuita-filosofo il nichilismo consumista va a braccetto con l’avversione alla vita debole: «C’è un rapporto tra l’inclinazione a pensare che milioni di affamati nel Terzo Mondo starebbero meglio da morti e le nostre nuove tecnologie per l’eutanasia di quelli che hanno una vita "senza senso" e "senza qualità". Il tema unico sottostante è che le persone non contano».
Che fare in questa battaglia tra il Modello-Persona e il Modello-Oggetto? Kavanaugh lancia l’appello ad una "resistenza" intorno ad alcuni principi. Primo: «Una famiglia che si sforza di incarnare le qualità dell’essere persona può essere il primo sostegno per la resistenza alla disumanizzazione. La famiglia è essenzialmente controculturale e sovversiva. Non stupisce che sia esposta a un attacco costante nella nostra cultura».
La vocazione del cristiano nel mondo consumista è l’estraneità: «In una cultura di ateismo vissuto e di esaltazione dei beni di consumo il cristiano praticamente dovrebbe sembrare un marziano. Egli non si sentirà mai a suo agio nel regno del consumismo». Contro il quale si possono usare diverse "armi" pacifiche: «L’opposizione agli armamenti o all’aborto può essere attuata in una legislazione, nell’obiezione fiscale, nel giornalismo, in prigione o dal pulpito».
Kavanaugh tratteggia infine una sorta di piccolo "manuale" in cinque punti-chiave per il cristiano-tipo nell’era consumista. Prende come modello un’ipotetica Jane, una madre di 3 figli, cattolica, della classe media. Primo punto: «Per Lane la preghiera sarà cruciale come metodo regolare per mantenere una percezione chiara della sua vita. Il raccoglimento di questa donna è una dichiarazione di indipendenza dalle migliaia di pressioni che la cultura crea». Secondo: «Jane troverà importante entrare in collaborazione con altre persone, altre coppie, con una partecipazione a qualche tipo di comunità». Quindi: «La nostra Jane farà bene a introdurre un poco di ascetismo personale nella sua relazione con le cose. Non lascerà che la televisione prenda il posto dell’intimità dei suoi figli. Tratterà il Natale in modo meno commerciale e competitivo.
Consumerà meno alcool, non baderà tanto alle comodità». Quarto: alla nostra cattolica spetterà dotarsi «un’educazione continua ai problemi della giustizia sociale. L’impegno dei cristiani per la giustizia non è un fenomeno politico. Non è un’ideologia di destra o di sinistra. È una questione di fede nella parole di Gesù». Infine Jane dovrà «avere un contato continuo e regolare con i più poveri tra i poveri, con i moribondi, con persone sole, con handicappati. Le persone ontologicamente e culturalmente ferite hanno una capacità impareggiabile di educarci di fronte alle nostre pretese».

1 commento:

Simone ha detto...

Queste tesi sono in buona parte condivisibili.
Personalmente ascrivo il cattolicesimo - quello vero, naturalmente, non quello di facciata - a quello che chiamo "nichilismo consolotario", ossia una dimensione spirituale cui l'individuo si affida per consolarsi da un nichilismo che ha percepito, a differenza della maggior parte dei lobotomizzati che tra una depressione e l'altra non individuano nemmeno il problema.

Di certo il cattolicesimo inteso come nichilismo consolatorio è molto meglio del nichilismo e basta e il modello espresso da questo gesuita, adottato come stile di vita, non è del tutto da buttare.

Come dicevi tu però è ancora rpesente il concetto di fine della Storia. Il cattolicesimo, come tutte le fedi rivelate, vede l'uomo sostanzialmente in ginocchio di fronte alla Provvidenza, passivo in quello che, per la dimensione divina, è solo un momento nell'infinità della Storia, pertanto non da all'uomo quella spinta all'attivismo che è invece tipico di una spiritualià più pagana in cui l'uomo è assoluto protagonista delle cose del mondo, in una dimensione parallela, e non sottomessa, a quella degli Dei, e diviene pertanto imperativa la lotta mortale tra Bene e Male.