"Non siamo pacifisti. Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell'interesse del socialismo."
(Vladimir Ilič Ul'janov, Lenin, 1917)

31 luglio 2009

La "democrazia" (con le virgolette...)

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Chi oggi, parla ancora di democrazia è ingenuo oppure ha interessi ideologici.
Prendiamo, ad esempio, le elezioni.
Anzitutto si parte da un pregiudizio di tipo, oserei dire, razzistico: se avvengono all'interno di Paesi che hanno scelto (più o meno liberamente...) la protezione del Clan degli Strisciostellati, saranno considerate valide e legittime qualunque fatto accada; se, viceversa, avvengono all'interno di quei Paesi che hanno scelto di non sottostare al ricatto dell'Impero, la vittoria di misura sarà "spacciata" per viziata di brogli e, l'eventuale plebiscito, per imposizione con la forza.

Il penultimo caso riguarda l'Iran. Ma si potrebbero elencare decine di casi precedenti.
Nel particolare, vorrei invece parlare dell'ultimo caso: quello della Moldova.
Nella piccola repubblica situata tra Ucraina e Romania in aprile si erano svolte le elezioni, ma, ironia della sorte, il Partito vittorioso non era gradito alla restante minoranza che, "democraticamente", aveva protestato in maniera pacifica come è consuetudine dei movimenti "democratici" attuali ossia dando vita a guerriglia urbana sfociata con violenti scontri, al punto da indurre il Presidente ad operare una scelta estremamente "democratica": scioglimento del Parlamento e ripetizione delle elezioni.
Il tutto, nonostante la presidenza UE avesse confermato (sulla base del rapporto della International Election Observation Mission, IEOM) che le stesse elezioni fossero state effettivamente libere e pluraliste!
Ieri lo spoglio delle schede ha decretato la sconfitta del Partito comunista moldavo.
Ecco, questa è la "democrazia".
Rigorosamente con le virgolette!
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14 luglio 2009

Democrazia, Impero permettendo.

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E' un dato di fatto, oramai, che la parola "democrazia" rappresenti un concetto relativo, al suo interno, però, esistono alcune certezze.
Etimologicamente deriva dal greco "demokratia", demos=popolo e kràtos=potere, e, fino a poco più di un secolo fa, si usava per indicare una forma di governo in cui la sovranità risiede nel popolo che la esercita per mezzo delle persone e degli organi che elegge a rappresentarlo.
Oggi le regole sono cambiate e quando si parla di "democrazia" bisogna tenere presente alcune novità, che rendono la sua concezione relativa appunto.
Anzitutto: "graeca: non leguntur", perciò chi può dire con certezza quale significato abbia?
In secondo luogo, si devono sostituire le parole "popolo", "persone" e "organi" con: "oligarchi", "intimidazione" e "violenza", cosicchè la nuova definizione diventi: forma di governo in cui la sovranità risiede nel dominio degli oligarchi che la esercitano per mezzo dell'intimidazione e della violenza.
E, infine, la regola delle regole senza la quale tutto ciò non potrebbe esistere: la concezione di postmodernità che permette liberamente di fare e disfare, credere e abiurare, a seconda delle necessità.
A questo punto il gioco è fatto e, senza fatica alcuna, si possono ribaltare le realtà che non ci garbano.

Ad esempio, si può non riconoscere la vittoria elettorale di Hamas nella striscia di Gaza, oppure giudicare dittatore un presidente che vuole governare dopo aver conseguito il 64% dei voti in Iran, oppure, ancora, far stabilire agli Stati Uniti (ossia una superpotenza nucleare!) chi abbia il diritto e chi no di dotarsi di strutture nucleari: India sì, Corea del Nord no, Pakistan sì, Iran no, Israele sì, eccetera.
Per concludere il discorso, la ciliegina sulla torta è il golpe appena conclusosi in Honduras.
In questo caso a dare una mano agli "esportatori di democrazia" ci ha pensato nientepopòdimeno che la Chiesa, nella persona del cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga. Il quale, in un'intervista a Radio Vaticana, afferma candidamente: "Non è facile uscire da questa situazione, il dialogo è la via giusta, ma non crediamo che Zelaya possa tornare e ricoprire un ruolo governativo, tanto più che restano alcuni interrigativi: quale governabilità può esserci in un Paese che viene diviso, diffondendo la lotta di classe?".
Magari quella di un presidente democraticamente eletto e non messo lì con la forza mediante un colpo di Stato, verrebbe da dire.
Impero permettendo, ovviamente.
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