(oggi la prima parte, giovedì 22 la seconda e ultima).
Paragrafo 17
«Esiste oggi una seconda teologia, altrettanto ripugnante della precedente, ed è la teologia dell'unicità metafisica del genocidio ebraico, evento metastorico imparagonabile con qualunque altro evento storico.
Nella formulazione di Elena Loewenthal, sacerdotessa italiana dell'olocausto, essa si esprime così: «l'Olocausto sfugge drasticamente ad ogni fenomenologia della storia, divina e umana» (cfr. "La Stampa", 19 gennaio 2008).
Cerchiamo di riflettere bene su questa formulazione, perchè in essa c'è la chiave per comprendere la trasformazione di un evento storico in un evento religioso. E la trasformazione di eventi storici in eventi religiosi (crocefissione di Gesù, rivelazioni a Mosè, Maometto, Buddha, eccetera) è la chiave iniziatica per comprendere la genesi storica e concettuale di tutte le religioni, rivelate o non-rivelate, monoteistiche o politeistiche, con clero formalizzato o con clero informale, con celibato obbligatorio o senza, eccetera.
Il punto è delicatissimo, ed è bene sia evitare le provocazioni, sia resistere alla paura della diffamazione. Data l'estrema delicatezza di questo argomento, ed il terrore che tutti hanno di essere fraintesi e calunniati come antisemiti o come negazionisti, è assai difficile che si parta col piede giusto. Cercherò invece di farlo nel modo più pacato possibile.
In primo luogo, è del tutto evidente in base a qualunque ricostruzione storica onesta, che il sionismo politico (da non confondere ovviamente nè con la religione ebraica, nè con la cultura ebraica, nè con la tradizione identitaria del popolo ebraico) è stato ed è tuttora un fenomeno illegittimo di occupazione coloniale e razzista di una terra già occupata, ed occupata da una stragrande maggioranza musulmana insieme a minoranze ebraiche e cristiane (arabi, armeni, eccetera).
La Dichiarazione di Balfour del 1917 fu un crimine politico, perchè prometteva una terra a gruppi di coloni sionisti privi di qualsiasi legittimità storica.
Tutta la storia del sionismo, sia prima che dopo il 1948 ed il 1967, è una storia di occupazione coloniale illegittima.
Per questa ragione, dal momento che il sionismo era del tutto privo di qualunque legittimità filosofico-politica razionale, l'introduzione del genocidio ebraico 1941-1945 come fattore simbolico per la legittimazione posteriore del sionismo e per l'espulsione genocida del popolo palestinese dalla sua terra è diventato un fatto ormai accettato dalla stragrande maggioranza dei gruppi intellettuali europei, anche perchè chi obietta viene accusato di antisemitismo, e pochi se la sentono di sfidare la canea mediatica e la pressione soffocante degli ambienti sociali in cui si vive.
In secondo luogo, fino al triennio 1989-91 nessuno si sarebbe mai sognato di definire antisemiti i critici del sionismo (da non confondere con i critici sionisti dei cosiddetti eccessi repressivi dei governi israeliani). Si dava scontato che vi fosse una distinzione di principio fra sionismo ed ebraismo, e non ci fosse coincidenza fra i due termini. Ma dopo la dissoluzione del mai tanto rimpianto katechori, il benemerito comunismo storico novecentesco realmente esistito come forza geopolitica riequilibratrice, si sono rotte le dighe ideologiche prima esistenti, e si è imposto un profilo demenziale e criminale che ha posto una serie di equazioni che poi il circo mediatico ha provveduto a saturare: antisemitismo = antisionismo = antiamericanismo = complicità con il terrorismo = rifiuto della modernità in quanto tale.
Chi accetta questo modello è già morto, anche se sembra che cammini ancora.»
(...Segue)
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