"Non siamo pacifisti. Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell'interesse del socialismo."
(Vladimir Ilič Ul'janov, Lenin, 1917)

18 ottobre 2011

Indignados, crisi del capitalismo, comunisti e sfasciavetrine (Gaspare Sciortino)

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Premessa: in tale nota vengono presi in considerazione solo gli elementi criticabili del movimento che sta investendo in questi giorni il paese. Si tralascia il giudizio, complessivamente positivo, che nuovo un vasto movimento, dalle potenzialità anticapitaliste, si riappriopri della scena spazzando in maniera salutare il dibattito politico dalla simulazione dello scontro tra centrodestra e centrosinistra su natura e quantità dei rapporti sessuali del presidente del consiglio.

Il cosiddetto movimento degli indignados sembra in tutto e per tutto figlio dell'impostazione acefala metafisico-rivoluzionaria, ma "migliorista" nei fatti, del movimento No Global.
Sul solco del “movimento dei movimenti” invece di stabilire una logica conseguenza tra i processi che vengono definiti di globalizzazione (nella fase di acuta crisi strutturale del capitalismo) e la risposta di difesa dei popoli e degli stati nazionali propone una visione di iperglobalizzazione, considerata viatico necessario al comunismo, scambiando gli effetti della “globalizzazione” per lo strumento stesso di risposta. Già intorno ai primi anni 2000 il movimento “no global” definiva come irreversibile, e nei fatti da assecondare, il processo di globalizzazione in quanto creatore di un mitico proletariato internazionale chiamato “moltitudine” che alla globalizzazione stessa si sarebbe opposto creando il comunismo immediato, come trascendenza rovesciata sulla terra del regno dei cieli.
Categorie di analisi e derivati che fanno parte della peggiore allucinazione culturale operaistico-desiderante dei Toni Negri, Bifo ecc. ma anche delle ricette imbonitrici, ad uso e consumo di militanti di partito, del risibile marxismo bertinottiano in funzione di compattamento della macchina elettorale in esercizio di sopravvivenza (PRC) nella riconversione perenne all'azienda parlamentare del centrosinistra.
Il fantaoperaismo multitudinario che continua a farla da padrone nella maggior parte dei settori dell'estrema sinistra politica e sindacale non può rendersi conto che l'unica risposta possibile all'imperialismo è quella del rafforzamento degli stati nazionali e delle loro economie indipendenti e non asservite in relazione alle regioni-mondo potenzialmente in contrapposizione all'imperialismo USA.
Al contrario si saluta come positivo, come propiziatore del mitico internazionalismo proletario-multitudinario l'obsolescenza degli stati nazionali non vedendo che questo è l'effetto dello svuotamento dei processi decisionali economici e politici a vantaggio del padrone unico del mondo.
Non vi è analisi, unica razionale, tra l'azione dell'imperialismo unipolare (di cui infatti si rimuove la categoria) in guerra permanente contro la prospettiva di multipolarità (BRICS e ALBA) per il mantenimento dell'egemonia militare come strumento per perpetuare il meccanismo di scaricamento della crisi strutturale del capitalismo a livello planetario.
Non si mette in discussione il capitalismo nella sua complessità ma ci si ferma ad alcuni fenomeni della sua natura di formazione economico sociale quale oggi si manifesta.
Ovvero banche e finanza come se bastasse una riforma dei meccanismi interni del loro funzionamento.
Con l'aggravante che tale movimento attribuisce un potere salvifico alla lotta per la "moralizzazione" politica e "l'estensione della democrazia".
In quest'ultima cosa è ne più e ne meno un riciclaggio dell'antiberlusconismo parolaio dei popoli viola o a pallini colorati utile fratello (minore) scemo del cavallo di troia costituito dal combinato disposto “mani pulite” - riforma del sistema elettorale con il quale i settori dominanti più oltranzisti in senso atlantista e filoimperialista tentano, da più di un ventennio, di dare la spallata definitiva verso la sudditanza definitiva agli USA (Italia neocolonia !).
Non a caso settori di massa degli indignados italiani vedono come fattore importante l'interlocuzione con Mario Draghi futuro presidente della BCE in sintonia con quanto fa “occupy Wall Street” che non disdegna l'interlocuzione con il Soros agente organizzatore delle “rivoluzioni colorate” e la segreteria dei democratici del presidente americano .
Il movimento sceso in piazza ieri a Roma è stato colpevolmente assente sull'aggressione alla Libia. Anzi anche parecchi settori legati alle sue molteplici organizzazioni di sinistra, variamente posizionate, sono state inconsapevoli agenti politici della visione clintoniana circa la primavera araba.
Ovvero la lotta contro i "dittatori" come grimaldello per la demolizione degli stati nazionali arabi in funzione del "caos costruttivo" caro alla strategia Brzezinski, quando questi stati avevano un ruolo antimperialista e di autocentratura delle proprie risorse e della propria economia in funzione nazionale (Libia) o semplicemente per l'asservimento totale e definitivo degli ex vassalli (Tunisia, Egitto ecc).
In tale movimento non vi è alcuna tendenza, non soltanto egemone, perchè se nò saremmo a buon punto dell'opera, ma neanche minimamente visibile a livello di massa, circa l'unità inscindibile tra la parola d'ordine del "non paghiamo il debito" con una coerente impostazione di uscita dal blocco imperialista Nato e dal vassallaggio nei confronti della troika subiperialista di Germania, Francia e Inghilterra.
Si continua a non capire che oggi esiste un problema di indipendenza nazionale sul quale è possibile creare un ampio fronte di lotta e, come si sarebbe detto un tempo, di un blocco sociale anticapitalistico.
Da questo punto di vista diventa un tema che ci appartiene in maniera pertinente lo schieramento con la lotta di resistenza del popolo libico a fianco della Jamahiriya così come una coerente battaglia per sventare i tentativi di aggressione alla Siria e all'Iran.
Il nemico anche in italia è l'imperialismo USA. La BCE vero organo politico decisionale in materia economica, non ne è che il vassallo.
Si chiude definitivamente qualsiasi ipotesi di polo europeo, quand'anche esso sia mai esistito. Non si può non vedere che i gruppi dominanti statunitensi in sintonia con quelli dominanti a livello europeo stanno costruendo un futuro prossimo di un'Europa a scala gerarchica ben delineata tramite la demolizione dello stato sociale novecentesco e lo spossessamento delle risorse primarie, dell'industria statale e dei servizi degli stati gregari (tra cui l'italia).
A tal proposito la crisi del debito, come le altre grandi crisi storiche strutturali del capitalismo, servirà a determinare una gigantesca ristrutturazione della formazione imperialista.
Per quanto nella fase finale (Piazza S. Giovanni) il movimento è stato costretto alla difensiva dall'aggressione poliziesca che ha impedito il naturale svolgimento della manifestazione (e giustamente è necessario rispedire al mittente gli starnazzamenti dei Bersani, Vendola, DiPietro che non hanno alcuna legittimità a condannare atti di violenza in quanto essi stessi tifosi dei massacratori Nato del popolo Libico ecc.) non si può fare a meno di rilevare che la miccia degli scontri sia stata innescata dai soliti utili idioti spaccavetrine che con la loro impostazione luddista nulla possono avere a che fare con un movimento anticapitalistico (chiedere ai compagni del KKE greco come si sta in piazza e come si neutralizzano i provocatori). E' di queste ore la campagna di criminalizzazione di tutta l'opposizione sociale tramite provvedimenti di legge (Di Pietro o altri del centrodestra) o atti concreti di polizia come il divieto a manifeastare a Roma da parte dell'ex squadrista Alemanno.
Inoltre come non vedere che un clima fosco di destabilizzazione sociale ridotta a problema di ordine pubblico vada incontro ai più spietati propositi delle agenzie di rating circa declassamenti funzionali al progetto Draghi (futuro presidente della BCE) ?
Per finire, il lavoro che i comunisti si trovano davanti è enorme e non siamo neanche all'inizio dell'opera in quanto è assente dalla scena politica italiana un partito comunista unitario e unificato, capace di tornare ad essere un polo di attrazione dell'anticapitalismo, ma contemporaneamente capace di recuperare la migliore tradizione comunista a partire dai suoi punti alti di analisi teorica politica e di struttura organizzativa che non possono non ripartire da un leninismo riattualizzato alle condizioni presenti per creare elaborazione ed azione politica.
Centro fondamentale di tale azione deve necessariamente essere la coniugazione della forte spinta popolare a livello europeo e nel paese contro il piano di macelleria sociale dell'imperialismo euroatlantico, distruttore di risorse e forze produttive, demolitore dei capisaldi dell'industria di stato e dei grandi servizi, ma anche disinteressato all'imponente tessuto produttivo della piccola e media impresa che costituisce il primo anello che salta a causa delle scelte dei gruppi dominanti (esempio concreto l'abbandono della PMI, la piccola e media impresa, nella Libia devastata dall'intervento della Nato) con i temi dell'uscita dal blocco economico politico euroatlantico.
Solo una forte miopia politica impedisce di vedere che esiste in Italia un problema strategico di indipendenza delle scelte di politica economica il cui naturale sbocco non puo che essere l'area mediterranea in atto devastata dal neocolonialismo.
Solo con una vasta alleanza popolare è possibile creare i presupposti favorevoli per una battaglia che non sarà certamente di breve durata. Punto centrale di tale strategia politica è necessariamente la disarticolazione dell'alleanza dei gruppi dominanti esattamente come è stato in tutte le “finestre storiche” nei quali i comunisti hanno costruito l'alternativa di formazioni politico economiche antagoniste al capitalismo.
Viceversa le due maggiori forze che si richiamano al comunismo si dibattono, da un lato il PRC nella vuota ripetizione di fraseologie spesso estremiste e lontane anche dalla tradizione comunista ma con una certa presenza a livello sociale, dall'altro il PdCI nella riproposizione di un'apparato teorico complessivamente mutuato dalla tradizione comunista (anche se si evita di affrontare il tema di cosa recuperare della tadizione teorica e politica del comunismo italiano e cosa abbandonare) sembra scegliere il basso profilo nei movimenti concreti di lotta nel paese.
Ma ambedue le formazioni alla fine convergono nella riproposizione della sciagurata alleanza (con qualche distinguo circa i limiti di tale alleanza) con il ceto politico del centrosinistra come se l'azione dei comunisti dovesse vedere come privilegiato il terreno dell'azione di un (impossibile) cambiamento della natura di tale ceto politico (PD).
Tale azione che da oltre un decennio ha portato ad immani disastri è improntata ad un'incredibile schizofrenia. Se da un lato, come viene scritto abbastanza chiaramente nei documenti congressuali dei due partiti, il centrosinistra costituisce l'altra stampella della politica euroatlantica delle classi dominanti (quella più coerente aggiungo io e scevra dalle contraddizioni interne già manifestatesi nel corso dell'anno nel centrodestra) dall'altro si ritiene indispensabile l'alleanza con esso.
Una simile strategia porterà inesorabilmente al ruolo di testimonianza dei comunisti nel paese. Se magari in tal maniera sarà possibile ricostituire un piccolo nucleo di parlamentari e istituzionali ai vari livelli dall'altro essi continueranno ad essere dei prigionieri in mano alla nuova compagine governativa che definirà la politica della BCE mentre vasti settori popolari, dove cresce il malessere sociale e spesso la rivolta, guarderanno definitivamente da un'altra parte. In tal maniera i comunisti saranno essi stessi responsabili della crescita dei fenomeni dell'antipolitica, dei grillismi qualunquisti o peggio dei fenomeni di revanscismo razzista e nazifascista come già accade in gran parte dell'Europa.
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10 ottobre 2011

"Che Guevara" (di Erman Dovis)

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Da: Marx21.it

Il 9 ottobre 1967 veniva assassinato in Bolivia Ernesto Guevara, per istigazione dei governi boliviano e degli Stati Uniti d'America.

Quel gesto,che avrebbe dovuto mettere a tacere la domanda di giustizia e di rivolta del continente latinoamericano, paradossalmente amplificò' il profondo messaggio di uguaglianza sociale e di lotta antimperialista di cui il comandante argentino era portavoce.
Guevara prese coscienza delle miserabili condizioni di vita delle masse latinoamericane durante i suoi viaggi giovanili, individuando nello sfruttamento neocoloniale delle multinazionali statunitensi la contraddizione principale su cui far leva. Ebbe inoltre il pregio di comprendere, come Martì e Bolivar, che il Sudamerica si sarebbe potuto emancipare dal giogo imperialista esclusivamente con una lotta dal carattere unitario e continentale. Queste sue convinzioni si rafforzarono nel corso delle sue esperienze in Guatemala e Messico, paesi in cui approfondi' il suo approccio alle teorie marxiste. In Messico conobbe Fidel Castro, rimase affascinato dalla forte personalità del leader cubano,e decise di seguirlo in un'impresa che sembrava impossibile: sbarcare a Cuba, aprire un piccolo fronte di guerriglia sulla Sierra ed abbattere la dittatura di Batista. Cosa che realmente avvenne, il primo gennaio del 1959.
Guevara, che durante i tre anni di lotta aveva dato prova di grande coraggio ,abnegazione, ma soprattutto di lealtà e tenacia, condusse l'offensiva finale della colonna militare che liberò Santa Clara. Successivamente ottenne incarichi di responsabilità nel governo cubano: insediatosi alla Fortezza La Cabana, ebbe il compito di giudicare i crimini della dittatura batistiana, e successivamente svolse un ruolo rilevante nella promulgazione della legge di riforma agraria, fu a capo della delegazione cubana che, all'indomani del trionfo rivoluzionario, lo porterà' in vari paesi dell'Asia e del Medio Oriente. Un anno dopo,verso la fine del 1960, fu nuovamente alla testa di una delegazione in viaggio nell'Europa Orientale e l'estremo Oriente, al fine di ottenere sbocchi commerciali e crediti dal blocco sovietico, per sopperire in tal modo all'ostracismo economico statunitense. Nominato Ministro dell'Industria e Presidente della Banca Nazionale, le sue riflessioni in materia (il famoso "dibattito economico" del biennio 63-64) meritano di essere oggetto di attenzione e studio. Nuovamente rappresentante di Cuba alla conferenza del CIES (relazioni economiche interamericane) di Punta del Este del 1961, rimarca i risultati ottenuti in campo sociale dalla Rivoluzione Cubana e stigmatizza il ricatto degli aiuti economici nordamericani. Nel frattempo rende pubblica la sua strategia rivoluzionaria nel libro " Guerra di Guerriglia", ove teorizza il modello di vittoria cubano, sostenendo come un piccolo nucleo guerrigliero possa vincere facendo a meno dell'azione e del grande appoggio popolare. E' il cosiddetto "foco guerrigliero", teoria che nasce da una personale analisi della vittoria cubana. La messa in pratica di tale teoria porterà per molti anni alla sconfitta di tanti movimenti di liberazione e le guerriglie organizzate dal Che in quel periodo falliranno. In Guatemala, il movimento del suo amico Julio Roberto Caceres,"El Patojo" ,dopo esser stata pianificato a Cuba, verrà liquidato senza difficoltà. In Argentina, il tentativo di Guevara e del giornalista Jorge Masetti, fondatore di Prensa Latina, di aprire un fronte guerrigliero, abortirà ancora prima di diventare operativo. E tuttavia egli non demorderà'. La sua volontà di ferro, il suo pur lodevole idealismo, la ribellione che andava maturando verso le ambiguità della dirigenza sovietica kruscioviana lo portarono ad agire d'impeto e a non valutare nella giusta dimensione il peso di quelle sconfitte.
Il suo intervento all'Onu dell'11 dicembre del 1964 rimane forse una delle più alte espressioni della politica internazionale antimperialista sostenuta dal grande rivoluzionario argentino: con lucidità' Guevara rileva tutte le contraddizioni e i crimini dell'imperialismo, elencando le aggressioni, i bombardamenti, le pressioni a cui sono sottoposte nazioni come Vietnam, Panama, Puerto Rico, Cambogia. Denuncia l'intervento neocoloniale in Congo, il sistema di apartheid in Sudafrica, la provocazione della base militare di Guantanamo e l'embargo statunitense persino verso i medicinali, smascherando il presunto volto umanitario mediante il quale si pretendeva di coprire il carattere aggressivo del blocco. Nel corso del suo intervento, in risposta al rappresentante del Nicaragua, si dichiara patriota dell'intera America Latina, confermando la sua idea di liberazione continentale. Nel successivo viaggio in Africa deciderà di lasciare Cuba per riprendere l'attività guerrigliera, dirigendosi in Congo prima ed in Bolivia poi. Operazioni che purtroppo si dimostreranno male organizzate, e soprattutto viziate all'origine dalla sua teoria del "foco". In Bolivia gli imperialisti americani non si faranno sfuggire l'occasione,e dopo mesi di azioni ed inseguimenti,circonderanno il gruppo residuo del Che attorno ad un canalone, e in seguito ad un aspro scontro a fuoco, l'8 ottobre 1967, uccideranno e cattureranno il grosso del gruppo, Guevara compreso.
Trasferito nella piccola scuola de La Higuera, verrà assassinato insieme ai suoi compagni il giorno dopo, mentre i guerriglieri scampati all'imboscata (Pombo, Benigno, Urbano, Inti Peredo), dopo varie peripezie, riusciranno a tornare a Cuba.
L'assassinio brutale di questo nobile combattente della causa dei popoli ha contribuito ad ingigantire il messaggio del Che. Un messaggio di lotta all'ingiustizia, un messaggio di rettitudine morale e di egualitarismo intransigente.
In questi tempi tristi di feroci aggressioni imperialiste, le sue analisi sullo sfruttamento neocoloniale da parte delle potenze occidentali, denunciate a più riprese ed in ogni sede, acquistano un'attualità' ancora più stringente. Amante della letteratura, della poesia, insisteva sul ruolo emancipatore della cultura, sostenendo che un popolo illetterato è un popolo che si fa manipolare.
La sua figura, la sua opera sono stati usati opportunisticamente da molta sinistra occidentale che ha teso a contrapporle ad altre figure ed esperienze del movimento comunista e rivoluzionario internazionale. Ponendo l'accento sull'aspetto romanzesco della sua vita, si è spesso preferito presentarlo come una sorta di perdente Don Chisciotte, tradito da Castro e costretto alla inevitabile sconfitta nonostante la sua purezza rivoluzionaria. Sono letture fantasiose, che cercano di riscrivere “da sinistra” la giusta lotta di emancipazione dei popoli. A distanza di anni, questo strumentalismo pernicioso è stato sconfitto. L'esempio di Guevara e di Castro, unito a metodi di lotta adatti al contesto specifico, hanno portato il Continente latinoamericano sulla strada della reale indipendenza dall'imperialismo americano. Un processo progressista che avanza e che difficilmente potrà essere fermato, perché si tratta di un processo di partecipazione popolare reale. E come diceva il Comandante Giap "..non puoi pensare di sconfiggere un popolo intero".
Che il ricordo di Ernesto Che Guevara sia d'esempio a tutti i comunisti che ogni giorno, in ogni luogo, lottano con ogni mezzo per costruire una società più giusta.
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