"Non siamo pacifisti. Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell'interesse del socialismo."
(Vladimir Ilič Ul'janov, Lenin, 1917)

30 dicembre 2010

Caso Battisti: facciamo un po' d'ordine (di Erman)

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Dopo anni di controversie giudiziarie, sembra finalmente conclusasi  la vicenda Cesare Battisti.
L'ex appartenente ai PAC non verra' estradato, e non poteva che essere questa l'unica decisione conseguente e compiuta, in barba agli strali ed agli starnazzi di chi intende la giustizia alla maniera dei reality show, con tanto di televoto.
Battisti dunque restera' in Brasile, Paese che ha mostrato una schiena diritta di fronte alle intimidazioni mafiose di un governo italiano corrotto e moralmente commissariato. Questa decisione  non permette l'uso strumentale che della vicenda si voleva fare, trasformandola in una questione prettamente politica, vista la collocazione ideologica dell'ex militante dei Proletari Armati per il Comunismo. Una vicenda che avrebbe sdoganato ulteriormente questo centrodestra  e la sua ala fascista, e che avrebbe mediaticamente appuntato l'ennesima medaglia al petto di un Berlusconi fragile eppur saldo al timone, spalleggiato dai suoi cortigiani del PD.
Purtroppo per loro, lo stato di diritto percorre (o almeno dovrebbe) strade diverse della infima propaganda di regime.
Cesare Battisti venne condannato nel 1979 grazie a leggi specialissime, che avrebbero fatto rabbrividire persino i militari argentini di quel periodo. Per capirne la vicenda è necessario tornare indietro di oltre trent'anni, comprendere il contesto in cui si svolsero i fatti di allora, la lotta armata, le profonde contraddizioni apertesi ma soprattutto la legislazione d'emergenza e le leggi speciali antiterrorismo sopracitate.
I fanfaroni sostengono che il "terrorismo" venne sconfitto dalla democrazia, dalla societa' civile e dal diritto, ma sono balle colossali!
Una retorica davvero umiliante per ogni testa pensante: la verita' è che in quegli anni, facendo perno sulla lotta a cio' che veniva chiamato "terrorismo", si è stuprata la costituzione, violato lo stato di diritto ed istituito uno stato di polizia infame.
Il primo decreto speciale in tal senso è del 1974 ed aumentò il periodo di carcerazione preventiva estenendolo a otto anni, in barba ad ogni presunzione d'innocenza (violazione dell'art.27 della Costituzione). Nel 1975 venne introdotto un decreto che prevedeva la possibilita' di perquisizione senza mandato del magistrato indagante (violazione art.13) ed a tutt'oggi le forze dell'ordine possono a loro discrezione decidere di fermare e perquisire chiunque senza autorizzazione.

Il decreto interministeriale del 1977 istitui' le carceri speciali: un peggioramento drastico delle condizioni e dei regolamenti carcerari, come ad esempio la possibilita' della direzione di decidere improvvisi trasferimenti, bloccare visite familiari, o perquisizioni corporali quotidiane. Una evidente negazione di ogni elementare diritto dei detenuti, ed ovviamente gli inquisiti scontavano in tale regime la carcerazione preventiva.
Sempre in quell'anno, la Legge 534 limitò le possibilità da parte della difesa di dichiarare nullo un processo per violazione delle garanzie dell'imputato, ed il successivo decreto Moro autorizzò il fermo di polizia a 24 ore, rese le intercettazioni legali anche senza il permesso del magistrato ed utilizzabili in processi diversi da quelli per cui si era deciso l'uso. Inoltre erano utilizzabili anche in assenza di indizi di reato, violando dunque l'articolo 15. Un decreto segreto del 1978, contravvenendo l'Articolo 77 della Costituzione e tenendolo nascosto al Parlamento, dava al Generale Dalla Chiesa "poteri speciali" per combattere il terrorismo.
ll decreto del 15/12/1979 (divenuto poi la Legge Cossiga), oltre a introdurre nel codice penale il famoso art. 270bis , autorizzò, per i reati di "cospirazione politica mediante associazione" e di "associazione per delinquere", il fermo di polizia preventivo della durata di 48 ore, più altre 48 ore a disposizione per giustificare il provvedimento. Per quattro lunghi giorni un cittadino sospettato di essere in procinto di cospirare, poteva rimanere in baostaggio della polizia senza l'obbligo di informare il suo avvocato. Durante quel periodo poteva essere interrogato e perquisito, e in molti casi si è parlato di violenze fisiche e psicologiche. Tutto questo all'art.6, una norma straordinaria della durata di un anno.
All'art.10, i termini della carcerazione preventiva per reati di terrorismo venivano estesi di un terzo per ogni grado di giudizio. In quel modo, fino alla Cassazione, si poteva arrivare a dieci anni e otto mesi di detenzione in attesa di giudizio.
All'art.11, si introduceva un grave elemento di retroattività della legge, ordinando di applicare i nuovi termini della carcerazione preventiva anche ai procedimenti già in corso.
Il fine era chiaro: impedire che decorressero i termini, e che centinaia di sepolti vivi attendessero il giudizio a piede libero.
Ora forse ci è un pochino chiaro il quadro "giuridico" di quegli anni, e mi perdonerete l'ironia.
In questo contesto, Cesare Battisti venne condannato nell'ambito dell'omicidio del gioielliere Torreggiani, pur non avendo egli MAI fatto parte della spedizione omicida, e nessuno ha mai asserito questo, anche se questo particolare viene costantemente eluso dai mass media votati alla marchetta governativa.
Piuttosto a Battisti si imputa un concorso morale di colpa (per il fatto di essere militante nella organizzazione armata che partecipo' all'azione) ed anche un'empirica responsabilita' nell'organizzazione dell'attentato, molto difficile da dimostrare nell'ambito di un'istruttoria degna di questo nome.
E' bene ricordare che Battisti è stato condannato anche come esecutore delll'omicidio della guardia carceraria Antonio Santoro, del macellaio Sabbadin e dell'agente Andrea Campagna.
I Media per sfruttare l'effetto spettacolare ed emozionale del caso Torreggiani spesso tacciono sugli altri casi, che riassumiamo brevemente: la guardia carceraria Antonio Santoro sarebbe stata uccisa da Battisti sulla base delle accuse di un pentito (Pietro Mutti) che ebbe in cambio uno sconto di pena, ma il procedimento mostrò le contraddizioni di Mutti, contraddizioni talmente palesi e prove talmente evidenti da far ammettere di essere lui stesso l'autore dell'omicidio. L'ineffabile Mutti accusò ancora Battisti di aver ucciso Lino Sabbadin, ma venne smentito da Diego Giacomin, autoaccusatosi del crimine in collaborazione con Mutti.
L'agente della Digos Campagna sarebbe stato ammazzato da Battisti nonostante anche in questa occasione ci sia un reo confesso, tal Giuseppe Memeo.
Da notare che persino questa condanna venne comminata sulla base delle dichiarazioni del pentito Mutti, e qui sarebbe opportuno aprire un ampio capitolo di discussione sul fenomeno del pentitismo, ma ci dilungheremmo troppo.
Dunque abbiamo analizzato il caso con particolare dovizia, tale da farci per lo meno venire qualche dubbio sulla legittimità delle sentenze di condanna dell'ex militante dei Pac.
E allora perchè questo accanimento?
Questa sete di "giustizia"?
Questa levata di scudi di destra e buona parte di sinistra?
Perchè si tace invece su un assassino conclamato come Delfo Zorzi e si permette ai coniugi Fioravanti di entrare nella commissione elettorale del PD del Lazio?
Il problema, come accennato prima, è chiaramente politico: Cesare Battisti paga il fatto di non essere un pentito o un dissociato in stile Faranda, che andava in tv a scherzare e giochicchiare su quegli anni con Cossiga.
Battisti rivendica il suo ruolo in quel periodo ed in quel contesto storico, ma giustamente oggi ne rilegge il significato dopo trent'anni.
Questo atteggiamento è terribilmente fastidioso per un potere vile ipocrita e ruffiano, che vuole cancellare qualsiasi foma di opposizione persino culturale, che porta avanti un revisionismo grossolano volgare e schifoso. Un potere che deve criminalizzare a prescindere qualsiasi atteggiamento, azione diretta o indiretta che abbia un richiamo in qualche modo progressista.
Qui sta il nocciolo della questione, la chiave della partita, lo snodo cruciale.
Nel momento di concludere queste due righe, leggo che Frattini (Ministro degli Affari Esteri attualmente in carica, N.d.R.) e la sua allegra brigata si stracciano le vesti come fece Caifa.....rido di gusto.
Trovo che il 2010 si stia per chiudere assai bene.
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28 dicembre 2010

Il giuoco delle tre campanelle (di Lurtz)

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Accantonando solo per un attimo le recenti porcherie riservate ai lavoratori, per concludere l'anno in bellezza vogliamo proporre un interessante articolo uscito su Avvenire del 21 dicembre, firmato da Piero Gheddo, col titolo "Il Rinascimento? Fu solo in Occidente".
Interessante perché conferma il senso di fastidio che si prova nel rilevare l'ottusità che accompagna ogni genere di dogma.
Non perché di per sè il "dogma" venga perseguito da ottusi, ma semplicemente per una questione di onestà intellettuale. E, viste le sbandate postmoderniste degli ultimi tempi, ci si sarebbe aspettati meno rigidità.

Sia chiaro che questo tipo di atteggiamento, più che infastidire, diverte. E che, proprio dal punto di vista postmodernista, risulta assolutamente coerente.
Ma, a mio modo di vedere, tocca decidere alla fine da che parte stare. Quanto meno per non apparire addirittura.....eretici.

Il Rinascimento? Fu solo in Occidente (di Piero Gheddo)
Sul Corriere della Sera di pochi giorni fa Paolo Mieli pubblica un lungo articolo su "Asia, gli altri Rinascimenti", nel quale, recensendo il volume di Jack Goody "Rinascimento, uno o tanti?" (Donzelli), dimostra (o tenta di dimostrare) questa tesi: il Rinascimento europeo che ha prodotto in Europa «la corsa verso capitalismo, industrializzazione e modernità… non fu un unicum nella storia», poiché ci furono altri Rinascimenti nei paesi asiatici, specie in Cina, India e Giappone, che più recentemente stanno raggiungendo gli stessi traguardi del Rinascimento europeo. Anche il mondo islamico ha conosciuto il suo Rinascimento, quando a cavallo fra il primo e il secondo millennio, il sapere islamico era ben superiore a quello dell’Europa cristiana.
La tesi di Goody è questa: «Un mondo intero al di fuori dell’Europa conobbe fenomeni in qualche modo assimilabili al Rinascimento», per cui «va messa in discussione l’ipotesi di una superiorità dell’Occidente… nel senso che le vie che hanno condotto alla modernità sono state più di una».
Tesi rispettabile che però non spiega come mai le molte civiltà che hanno avuto un "Risorgimento" non sono mai sbocciate nella modernità intesa nel suo complesso di valori e di traguardi.
Il pandit Nehru, spiegando perché l’India era sottosviluppata (The Discovery of India, New York, 1964, pag. 283) afferma che la causa fondamentale è la differenza fra lo spirito europeo e lo spirito indiano: «La differenza vitale era questa: in Europa forze invisibili ribollivano all’interno delle sue masse, facendole continuamente evolvere. In India invece, la situazione era statica. La natura statica della società indiana rifiutava di evolversi».
Numerosi storici e sociologi giungono a conclusioni diverse da quelle di Goody.
Christopher Dawson scrive (in Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, Rizzoli 1997, pagg.19 segg.): «La religione è la chiave della storia» e dimostra che l’emergere e l’affermarsi della civiltà occidentale su tutte le altre non trova altra spiegazione se non nella visione messianica e ottimistica che la Bibbia e il Vangelo hanno dato, liberando le forze dell’uomo per le scoperte e l’impegno nel trasformare il mondo.
I due belgi storici delle civiltà, Jean Laloup e Jean Nélis (Culture et Civilisation, Casterman 1955, pag. 114) scrivono: «Alle sue sorgenti greco-romane e soprattutto al cristianesimo la civiltà occidentale è debitrice d’aver percorso dal punto di vista dell’eguaglianza, della libertà e della carità fraterna, una via totalmente ignorata dalle altre civiltà. La reazione antica e moderna contro la schiavitù, la lotta contro il dispotismo, l’avvento della democrazia politica e sociale, i "diritti dell’uomo" e le altre forme di rispetto della persona umana, rimangono delle acquisizioni originali dell’Occidente».
Arnold Toynbee ha sviluppato questa teoria (La Civilisation à l’èpreuve, Parigi 1951, pagg. 232-234, 237, 254): la civiltà occidentale è l’unica «universalizzabile», cioè contiene principi e valori validi per tutti gli uomini; principi e valori che vengono non dall’intelligenza umana, ma dalla Parola di Dio.
Tesi dimostrata fra l’altro dal fatto che la Carta dei Diritti dell’Uomo varata dall’Onu nel 1948 è stata fatta sulla base dei principi biblici ed evangelici (che erano quelli delle nazioni maggioritarie a quel tempo nell’Onu). Su proposta di vari Paesi non cristiani entrati in seguito nell’Onu, dal 1961 al 1971 il segretario generale dell’Onu, il buddhista birmano U Thant, tentò di dar vita ad una diversa Carta dei Diritti dell’Uomo. Nominò comitati di studio indù, buddhisti e islamici, ma non emersero proposte alternative (cfr. R. Nurske, Problems of capital formation in under­developed countries, Oxford 1953, pag. 4).
Per concludere.
Si può concordare con la tesi di Goody se si parla del Rinascimento come «rinascita che ha preso le mosse da una riconsiderazione di epoche precedenti (nel caso europeo si trattò dall’antichità)».
Ma se per Rinascimento intendiamo la corsa verso la modernità in tutti i suoi aspetti, diritti dell’uomo compresi, quello occidentale è stato unico, dando origine al "mondo moderno" che ormai tutti i popoli realizzano o vorrebbero realizzare, sia pure in modi diversi.
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20 dicembre 2010

Piccoli, ma significativi, passi per una riforma del welfare (quando il crimine paga). [di Lurtz]

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Il "socializzare le perdite, privatizzare i profitti" di leniniana memoria pare calzare a pennello con l'iniziativa di cui parliamo.
"Milioni di incentivi alle imprese per la sucirezza dei lavoratori", recita lo spot pubblicitario che occupava per intero l'ultima pagina della Stampa di qualche giorno fa. Incuriosito ho letto anche il resto del testo: "Vai su inail.it e scopri, entro il 12 gennaio, se la tua impresa può ottenerli. A partire da questa data avrai un mese per presentare la domanda, fino all'esaurimento dei fondi. Se il tuo progetto è adeguato riceverai un finanziamento a fondo perduto per coprire fino al 75% delle spese per nuovi macchinari, impianti, sistemi gestionali e corsi di formazione destinati alla riduzione dei rischi per i lavoratori. Perché solo un'azienda sicura può correre più veloce.
E far correre tutto il Paese".
Sorpresa?
Indignazione?
Disgusto?
No, niente di tutto questo è possibile.
Perché è questa la "società civile".
In Italia, stando alle statistiche arcinote, ogni giorno 7 persone (persone.....bipedi utensili, piuttosto) muoiono sul luogo dove si recano per lavorare. Più di 200 ogni mese. Più di 2500 ogni anno.
Cifre spaventose. Al punto che anche la parola "morte" appare insufficiente a descriverle.
E' una vera e propria strage! Un massacro. Un olocausto.
Si, un olocausto!
Sembra un'esagerazione, vero?
Allora (anche se l'immaginazione non riuscirà a dare una forma equivalente) immaginiamo di passeggiare lungo una via di una qualsiasi città. All'improvviso una fila di dieci palazzi, alti ognuno dieci piani, crolla. Rimangono macerie e corpi senza vita.
Chiediamo ad un passante cosa sia successo, e questo ci risponde: "E' la scadenza di un anno di lavoro, 2550 persone".
L'iniziativa Inail è, per me, inspiegabile.

Qualche giorno fa, finalmente, il giudice Guariniello ha determinato un precedente nei casi di morti sul lavoro: la condanna, per l'amministratore delegato della Thyssen Krupp, a 16 anni con l'accusa di omicidio volontario.
Ecco perché, partendo da qui, risulta inspiegabile l'iniziativa Inail.
Nel momento in cui si determina l'esigenza di migliorare, riparare e/o sostituire macchinari non perfettamente funzionanti o che comunque potrebbero recare danno fino, come abbiamo visto in moltissimi casi, alla morte a coloro che li usano, non si stabilisce anche una responsabilità?
Si, è evidente!
Ma qui sorge un problema.
Infatti, se ogni volta che un lavoratore (bipede utensile) muore il titolare dell'azienda venisse ritenuto colpevole di omicidio volontario, una consistente percentuale di aziende sarebbe costretta alla chiusura.
Così l'Inail, ossia un ente dello Stato, trova una soluzione: con il denaro che i contribuenti versano all'erario (anche quei contribuenti che hanno lavorato nelle aziende prima di schiattarci!) offre ad aziende private l'occasione di sostituire i vecchi macchinari tramite un finanziamento pari al 75% del costo complessivo a fondo perduto, meglio ancora che a "babbo morto".
La cosa mi pare tanto assurda da fare ancora riferimento alla capacità di immaginazione.
E mi chiedo: il cittadino s'indignerebbe se sapesse che lo Stato per limitare feriti e morti durante il corso di rapine, scippi e furti in genere, mettesse a disposizione dei birbaccioni un fondo di alcuni milioni di euro ricavati dalle tasse?
Questo è il sogno della società liberale.
Uno Stato in cui il denaro pubblico viene regalato all'impresa privata.
Quella stessa impresa privata i cui imprenditori evadono il fisco con percentuali scandalose, perché ritengono che le tasse siano un furto!
E così si chiude il cerchio. Con la vendita dei cadaveri dei bipedi utensili al mercato della necrofilia affinché, col ricavato, si paghino la propria sepoltura.
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13 dicembre 2010

Non esistono più i dogmi di una volta.....

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Roberto I. Zanini, Avvenire


Il cosmo «plurale»

Non un solo universo, ma una molteplicità di universi. Coesistenti, paralleli, sovrapposti, l’uno figlio dell’altro. Tutti figli di un loro e autonomo Big bang. Tutti in espansione costante. Stiamo parlando della recente lettura cosmogenica alla quale è stato dato il nome di "Multiverso". Uno dei campioni di questa teoria è il matematico e cosmologo dell’Università di Cambridge John David Barrow.

Lo stesso scienziato che alla fine degli anni ’80 sviluppò con Frank Tipler la cosiddetta Teoria del principio antropico, con la quale dimostrava che le condizione poste all’origine dell’universo sono così accurate e precise che una sola minima variazione avrebbe portato a qualcosa di molto diverso da ciò che conosciamo e incapace di generare la vita. Ieri, nella conferenza su "Le origini dell’universo", che si è tenuta presso il Pontificio consiglio per la Cultura, Barrow ha illustrato come nella sua ricerca sia passato dall’una all’altra teoria, «studiando cosa può essere accaduto nell’attimo che ha preceduto il cosiddetto Big bang».

La Conferenza è il primo di una serie di incontri promossi dal progetto Stoq ("Science, Theology and the Ontological Quest"), col quale il dicastero guidato dal cardinal Ravasi si propone di mettere a confronto scienziati, filosofi e teologi sui grandi temi che coinvolgono scienza e fede. Insieme a Barrow e allo stesso cardinale, l’incontro di ieri sera ha visto la presenza dell’astronomo della Specola Vaticana José Gabriel Funes e dell’astronomo dell’Università di Padova Piero Benvenuti. Barrow è partito dal principio, oggi inconfutabile, dell’universo in movimento.
«Un processo di espansione del quale la cosmologia ha scoperto le modalità uniche e irripetibili grazie alle quali si è resa possibile la vita nei modi e nelle forme che noi conosciamo. Quello che noi abbiamo chiamato il "principio antropico"». Indagando però l’attimo precedente al Big bang, ha detto Barrow si è arrivati alla cosiddetta «teoria dell’"universo inflazionario" (dall’inglese to inflate, gonfiare) che comporta una serie di conseguenze tutt’altro che scontate. Una di queste è per esempio la possibilità che il nostro universo, cioè quello in cui viviamo e che possiamo osservare con gli strumenti a nostra disposizione, non sia il solo esistente.
In teoria potrebbero coesistere infiniti universi, dei quali il nostro sarebbe soltanto un esemplare
». In soldoni, la teoria dell’universo inflazionario prevede una fase di espansione che non sarebbe avvenuta omogeneamente, con la possibilità che all’interno della prima bolla in espansione se ne possano essere formate altre e all’interno di queste altre ancora, che, espandendosi alla velocità della luce, avrebbero dato vita non a uno ma a tanti universi insieme, «in un processo continuo e illimitato di cosmogenesi». Insomma, secondo Barrow «è possibile che il nostro universo non sia altro che uno fra i tanti».
E se la teoria si porta alle estreme conseguenze si arriverebbe a concepire che questi mondi a loro stanti, pur essendo fra loro privi di nessi di causa ed effetto, sarebbero in qualche modo collegati da "cunicoli", capaci di connettere diverse regioni dello spazio-tempo che altrimenti resterebbero separate... Attraversandoli si supererebbe quella barriera spazio-temporale tanto cara a decine di scrittori di fantascienza. Una teoria, questa del Multiverso, che, come ha detto lo stesso Barrow, «apre le porte a una molteplicità di letture del prima e del dopo, nelle quali la possibilità che ci sia stato un "disegno intelligente" non mi vede affatto convinto».
Anche se, ha sottolineato, «le nuove scoperte della scienza, soprattutto in questo campo, sono sempre qualcosa di incerto e non sempre le prove che vengono portate a loro conforto vengono poi confermate». Nei fatti Barrow non si è sbilanciato sulla questione teologica. Secondo Benvenuti, del resto, non si può fare altrimenti, anche se «in se stessa la teoria del Multiverso offre una visione quasi metafisica, perché della possibilità che esistano altri universi non posso in alcun modo avere un’evidenza sperimentale. È come ipotizzare l’esistenza di vita biologica intelligente nell’universo. È plausibile ma non verificabile». 

Secondo monsignor Gianfranco Basti, decano della facoltà di Filosofia della Laternense, responsabile del Portale di Cosmologia su internet, nato dalla collaborazione fra Agenzia spaziale italiana e Pontificio consiglio per la Cultura, il Multiverso offre una lettura cosmologica che può anche non contemplare Dio: «Lo diceva già San Tommaso: se c’è una freccia sola e questa prende il bersaglio si prevede la presenza di un arciere; se le frecce sono tante e il bersaglio viene casualmente colpito da una sola, dell’arciere non c’è alcun bisogno».
Ma il Multiverso mette in crisi le modalità della Rivelazione? 

A smontare la domanda ci pensa monsignor Melchor Sánchez de Toca, sottosegretario del Pontificio consiglio: «Lo stesso problema, se mai si dovesse porre scientificamente, si era posto al momento della scoperta dell’America o al passaggio dalla teoria tolemaica a quella copernicana». Read more...

6 dicembre 2010

"Parlar bene dei briganti, una moda che fa male alla riflessione storica"

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Di Luciano Canfora, Corriere della Sera, 2 dicembre 2010

«Il sangue del sud» di Giordano Bruno Guerri: i falsi fondamenti di un'operazione culturale

Dopo i libri di Pansa, sembra una ricetta di successo scrivere saggi di storia o di ambiziosa «antistoria» fondati sullo schema «il sangue di...».
Dopo quello dei «vinti», ora c' è quello «del Sud». Il sangue del Sud è il titolo del volume garbatamente narrativo, ma storiograficamente non innovativo, che Giordano Bruno Guerri ha dedicato alla riesposizione sommaria della ben nota vicenda del brigantaggio meridionale contro lo Stato unitario italiano (Mondadori, pagine 300, 20).
Al tempo nostro abbiamo avuto un gigantesco esempio di «brigantaggio» sanfedista-oscurantista: i talebani dell' Afghanistan. Contro di loro fallì la guerra condotta dall'Urss in nome di una liberazione che doveva imporsi dall'alto e ad opera di una minoranza (modello giacobino).Gli Stati Uniti appoggiarono quella guerriglia sanfedista pensando (e il calcolo parve riuscire) di colpire a morte l' avversario sovietico. Ma ora si trovano essi stessi alla vigilia di una ritirata umiliante dall' Afghanistan dopo una guerra decennale ai talebani, che rischia di trascinarsi ancora.

Anche per il brigantaggio meridionale non mancarono aiuti esterni miranti a mettere in difficoltà il neonato Stato unitario italiano. E anche per questo i briganti meridionali inneggianti al Papa e al re borbone si illudevano di replicare il successo di «fra Diavolo» e del cardinale Ruffo, loro capo e mentore, del 1799. Non tutte le Vandee sono destinate a vincere. La repressione della Francia, prima repubblicana poi imperiale, contro la Vandea fu ferocissima e per un certo tempo parve aver ragione dell' avversario. 

Non sappiamo quale sarà l'esito in Cecenia. 
Certo colpisce quanta simpatia susciti «il vandeano altrui»: la guerriglia cecena è guardata, non di rado, in Occidente con tenerezza da quelli stessi che orripilano dinanzi alla guerriglia talebana e ne chiedono l'estirpazione. 
Ma, nel caso della storia d'Italia, sa davvero di falso e anacronistico tutto questo rigurgito di simpatia per un fenomeno che - va ricordato - non nasceva solo dal sanfedismo duro a morire ma anche dall'incapacità della classe dirigente sabauda di affrontare politicamente i problemi derivanti dall'annessione del Sud. 
Falso, perché assunto con intento strumentale dalla «cultura» secessionista leghista; anacronistico, perché finge di non vedere che, almeno dalla Liberazione in poi, cioè da 65 anni, tutto è mutato nel Meridione d'Italia: magari in modi sconcertanti e imprevisti; ma il nostro presente, nel Meridione d'Italia, non ha più nulla a che fare col mondo e la cultura che causò la ribellione di 150 anni fa. 
E 65 anni sono un pezzo enorme, quasi la metà, dei 150 trascorsi dall' epoca di quel conflitto, nato perdente e cinicamente alimentato (e oggi strumentalmente evocato). Altri malanni si sono venuti affermando, che si ramificano tentacolarmente ben oltre le regioni meridionali. Perciò fa un po' senso vedere coloro che vorrebbero attuare, e ogni tanto minacciano di attuare, la «secessione» nordista versar (metaforiche) lacrime sui briganti anti-unitari del 1861 e seguenti. 
È oltre tutto la conferma, a tacer d'altro, di una preoccupante incultura storica. 
Questo gioco strumentale determina una insensata partita a ruoli capovolti: che vede coloro che dovrebbero essere gli eredi della riflessione gramsciana sulla «questione meridionale» (non priva di cenni, molto equilibrati, al fenomeno del brigantaggio) incapaci di riappropriarsi di tale preziosa loro matrice e ripiegare invece su di una generica, quanto acritica, retorica risorgimentale. Read more...