"Non siamo pacifisti. Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell'interesse del socialismo."
(Vladimir Ilič Ul'janov, Lenin, 1917)

30 aprile 2009

Primo Maggio

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A cura del team di questo blog (Maura, Demcoamb, Giuseppe, Lurtz, Kim) e corredato da uno stralcio tratto da "Primo Maggio" di Edmondo De Amicis.

Nel periodo scolastico ho sempre visto la Festa dei Lavoratori come una festa che non mi rappresentava, essendo studente non ho mai ritenuto festeggiarla. Crescendo sono riuscita a prenderne la vera essenza, anche grazie a mio padre che mi ha insegnato il vero significato di questa ricorrenza.
Il Primo Maggio non è un concerto in una grande città.
Non è ascoltare un gruppo musicale che canta slogan sentiti più volte.
Il Primo Maggio è un traguardo raggiunto grazie all'impegno e al sacrificio di molti lavoratori.
Purtroppo viviamo in un periodo storico in cui il lavoratore non è più considerato tale, le vittorie raggiunte sono soltanto un ricordo e l'Essere Umano è visto più come merce di scambio che come individuo. Così va a finire che questa festa venga ricordata per le scampagnate fuori porta piuttosto che per il valore intrinseco che rappresenta.
Per me Primo Maggio significa riappropriarsi di quella dignità che violentemente stanno cercando di toglierci.
(Maura)

Buon Primo Maggio ai disoccupati, ai precari, ai cassintegrati, ai lavoratori in nero, ai lavoratori senza diritti, ai famigliari delle vittime sul lavoro. Praticamente, a tutti i lavoratori.
Escludo: i manager, che fanno del profitto l'unica regola, ai politici, che fanno i servi dei potenti (un'esclusione particolare al ministro Sacconi!), ai sindacati di professione.
E mi fermo qui perchè la lista sarebbe troppo lunga.
(Demcoamb)

Primo Maggio, Festa dei Lavoratori.
Parliamo dei Lavoratori! Basta con l'abuso, con l'utilizzo eccessivo, strumentale e tutt'altro che innocente del termine "lavoro", per nascondervi dietro gli interessi degli sfruttatori.
Primo Maggio, contro le morti sul lavoro e contro la precarietà.
Ricominciamo a lottare per un'altra società, visti i continui peggioramenti di questa.
Primo Maggio, non è solo un concerto.

Se gli stimoli vengono solo dalle canzoni, se chi torna a casa stanco dal lavoro ha come unica prospettiva quella di impegnarsi in partiti e sindacati che promettono di lottare per minimi e pur irrealizzabili obiettivi difensivi, è logico che si ingeneri una visione nichilistica che porti a cercare altrettanto difficili ma ben più stimolanti "carriere", a vivere avendo come parola d'ordine il "si salvi chi può", a vivere senza etica, a vivere in base alla logica nietzscheana dell'ultimo uomo. E poi ci si meraviglia degli esiti elettorali.
Ricominciamo a lottare per un'altra prospettiva, di più ampio respiro!
(Giuseppe)

Il Primo Maggio non è un giorno come tutti gli altri.
Il Primo Maggio non è folklore.
Il Primo Maggio è rispetto.
Il Primo Maggio è dei lavoratori.
Si prega, quindi, di fare silenzio e, soprattutto di non dire sciocchezze!
(Lurtz)

"Centotredici: sono questi gli anni della "venerabile" manifestazione internazionale del 1° Maggio. Nata alla fine dell'Ottocento a Parigi, la città della Rivoluzione e della Comune, ha accompagnato fino ad oggi lo sviluppo del movimento operaio di tutto il mondo, portandone alle luce, nel "centro borghese" come si diceva allora, le rivendicazioni - le otto ore di lavoro, le libertà politiche e la pace - ma anche le speranze.
Giornata anche utopica quindi, che va oltre le parole d'ordine contingenti e, a volte, le rigide imbracature imposte dalle esigenze politiche, per prefigurare, anche solo per un giorno, l'ebbrezza della futura società: "Oggi dimentichiamo: è così bello, non è vero, una volta tanto dimenticare il presente per spingere più libero il pensiero nell'avvenire. Specialmente per noi è bello, cui il presente non offre che la sconfinata visione delle umane miserie […]. Oggi sorvolando sul presente, spingiamo lo sguardo all'avvenire e ci contiamo". E quindi, oltre che prosaica rassegna annuale della propria forza e momento di riflessione sul cammino percorso, è anche giornata di festa, di rottura della monotonia lavorativa, in cui è lecito il sogno ad occhi aperti. Il Primo Maggio è stato tutto questo, una manifestazione multiforme e dalla pluralità di significati.[...]
La data di apertura del congresso non è casuale. Nel 1889 la capitale francese è intenta a festeggiare con l'Esposizione Universale il centenario della Rivoluzione e il 14 luglio, giorno di apertura dei lavori, porta alla mente il ricordo della presa della Bastiglia. Una scelta meditata quindi, di alto valore simbolico, effettuata da delegati che intendono presentarsi come eredi dei rivoluzionari del 1789 e continuatori degli ideali popolari che li avevano animati, in opposizione alla appropriazione operata dalla borghesia. Così recitava infatti la lettera di convocazione del congresso: "La classe dei capitalisti invita i ricchi e i potenti a venire a contemplare ed ammirare all'Esposizione Universale l'opera dei lavoratori condannati alla miseria […].
Noi socialisti […] diamo convegno a Parigi, il 14 luglio, ai produttori. Noi li invitiamo a venire a stringere i legami fraterni che, consolidando gli sforzi del proletariato di tutti i paesi, affretteranno l'avvento di un'epoca nuova". E casuale non è neppure la data individuata per la manifestazione, ma risponde all'esigenza di darle il più vasto respiro internazionale. Il 1° maggio del 1890 era stato infatti scelto dall'American Federation of Labor, riunita a congresso a St. Louis nel dicembre del 1888, per una dimostrazione nazionale a favore delle otto ore di lavoro.
[...] La deliberazione del congresso parigino sulla manifestazione a sostegno delle otto ore raccoglie un obiettivo da tempo perseguito dai movimenti operai di diversi Paesi. Nel 1855 i lavoratori di Sydney e Melbourne impongono le otto ore nel settore edilizio e l'anno successivo organizzano una manifestazione con lo scopo di estendere la riduzione a tutte le categorie. È in questa occasione che appare per la prima volta la formula delle "tre otto": "otto ore di lavoro, otto ore di svago, otto ore di riposo!". Nel 1862 da Calcutta arriva la notizia che nella stazione di Howrah milleduecento operai hanno interrotto il lavoro per molti giorni per reclamare le otto ore. È però negli Stati Uniti che la rivendicazione è sostenuta da un energico movimento di massa che vede in essa la soluzione alla disoccupazione seguita alla fine dell'economia di guerra. Subito dopo la fine della guerra civile, l'operaio e propagandista Ira Steward fonda a Boston la "Lega per le otto ore nel Massachussets", mentre nell'agosto del 1866 a Baltimora nasce la "National labor union", la prima organizzazione sindacale a base nazionale con le otto ore al centro del proprio programma. L'anno successivo una legge dell'Illinois stabilisce la giornata di lavoro di otto ore a partire dal 1° maggio e, in questa data, un grande corteo formato da lavoratori iscritti a 44 sindacati sfila a Chicago. È la prima volta che la data viene associata alle otto ore. L'attivismo delle organizzazioni operaie porta a risultati positivi: l'obiettivo è raggiunto in sei Stati dell'Unione e nel 1872 una legge federale introduce la riduzione per tutti i dipendenti pubblici. Lo slogan delle "tre otto" torna nel 1882 quando la Central labor union di New York organizza una manifestazione il 5 settembre (Labor Day).
Nel vecchio continente le otto ore di lavoro sono considerate "una condizione preliminare senza la quale ogni altro tentativo di miglioramento ed emancipazione è destinato al fallimento" dall'Associazione internazionale dei lavoratori (1866), organizzazione fortemente voluta da Marx che, a sua volta, nel libro primo del Capitale (1867) scrive di una "modesta Magna Charta di una giornata lavorativa limitata dalla legge". La rivendicazione fa breccia nel movimento operaio europeo, tanto da essere introdotta nei programmi d'azione dei partiti socialisti: nel 1875 nel programma di Gotha dei socialdemocratici tedeschi, negli anni ottanta in quelli del Parti ouvrier francais e del Parti ouvrier socialiste revolutionnaire in Francia, del Parti ouvrier belge e in quelli di diversi partiti scandinavi. È in Gran Bretagna, dove si sviluppa un sindacalismo di massa tra le categorie meno qualificate (nuovo unionismo), che l'obiettivo è chiaramente percepito come punto di convergenza tra movimento politico ed economico.
Ma è ancora negli Stati Uniti che viene organizzata una nuova campagna per le otto ore. Nel 1884 la Federation of Organized Trade and Labor Unions si fa promotrice di un movimento nazionale con l'obiettivo di imporre le otto ore a partire dal 1° maggio 1886 con uno sciopero generale in tutte le maggiori città.
[...] Spies, uno dei condannati in seguito ai fatti di Chicago, si era così rivolto al giudice: "Qui calpesterete una scintilla, ma là e là, dietro e di fronte a voi, dovunque le fiamme divamperanno. È un fuoco sotterraneo, non potrete spegnerlo". Il messaggio viene raccolto negli anni successivi dal movimento anarchico. La memoria di questi "martiri" è riproposta con forza allorquando la manifestazione del 1° Maggio si è ormai configurata come un appuntamento generalmente accettato, lontano dall'atmosfera di timore e da stato di assedio che ne aveva caratterizzato i primi anni. Smessi gli antichi abiti ribelli, diventa sempre più visibile la componente festiva (gite, bicchierate, lotterie, giochi…); è il cosiddetto "tralignamento festivo" che un po' tutti criticano in nome di una giornata che deve essere di riflessione e di rassegna della propria forza. Ma le critiche più dure giungono dagli anarchici. Sono loro a richiamarsi esplicitamente a quanto accaduto nel maggio del 1886 a Chicago. E' nella memoria di quella tragica vicenda, di quell'orrore giudiziario, che il Primo Maggio può risollevarsi dall'annacquamento legalitario per ritrovare la sua anima rivoluzionaria. Si legge in un periodico anarchico del 1905: "Povero giorno! Quanto siam lungi dal famoso 1° Maggio 1886, il primo al quale gli si diede un significato rivoluzionario e che segnò la data di una battaglia colossale che il proletariato del Nord America diede a quella borghesia […]. Oggi nulla di tutto questo. La data del 1° Maggio s'è aggiunta alle troppe che già infiorano il calendario e non ci meraviglieremmo se a tal giorno tenessero chiuse pure le scuole".
A quelli degli anarchici si aggiungeranno le proteste dei socialisti intransigenti e dei sindacalisti rivoluzionari, ma l'anima festiva continuerà ad accompagnare una manifestazione che, finita la dura repressione, è uscita all'aperto (in Italia a partire dalla svolta liberale impressa da Giolitti), coinvolgendo sempre più la cittadinanza, che spezza la monotonia e che viene vissuta come annuale anticipazione della futura società socialista. Le scuole, nei municipi italiani guidati dai socialisti, saranno effettivamente chiuse"
(Liberamente tratto da: "Primo Maggio. Centotredici anni di speranze, vittorie e sconfitte", 2002)
(Kim, storico del Primo Maggio)

"[…] La folla tumultuante faceva nero tutto lo spazio intorno alla rotonda del Meridiano; la piazza era chiusa da compagnie di fanteria; il corso San Martino da una doppia schiera di cavalleggieri; i bersaglieri chiudevano il corso Beccaria; gruppi di carabinieri e di guardie di polizia a tutti gli angoli; e dietro alle masse scure e silenziose delle truppe, di cui scintillavano qua e là le uniformi e le baionette al lume dei lampioni, la piazza e i viali eran solitari, i portici deserti, le botteghe chiuse, le case senza lumi, cieche e mute come corpi abbandonati.
La città, dalla parte delle truppe, pareva morta.
La folla, in alcuni punti folta, in altri rada, fluttuava, avanzando e retrocedendo a vicenda, lanciando sassi, che non si vedeva dove andavano a cascare, emettendo urli da selvaggi, fra cui si distinguevano grida d’incitamento e di comando […].
Nel frastuono si continuava a sentire fragorii di fanali spezzati. Delle forme nere si chinavano a raccoglier pietre per terra, tenendo il viso alto, per non perder d’occhio la truppa. Altri giravano rapidamente, come per diffondere una parola d’ordine. I più avanzati parevano i più giovani, fra cui c’eran dei ragazzi. Tutta quella massa aveva delle mosse brusche, strane, come delle scosse che ricevessero tutti ad un punto, come se fosse agitata dagli scossoni d’una febbre violenta. E davanti a quella agitazione furiosa, pareva più terribile, più solenne l’immobilità impassibile delle truppe lontane, che chiudevan tutte le vie davanti come muraglie viventi.
Il Bianchini si ritirò dalla finestra, profondamente agitato. […] La folla urlava sempre più, e gli parve che avanzasse. Si sentivano suonar delle trombe. […] sentì un colpo di fucile, e poi subito una grandinata di colpi, che risonarono nella piazza con un fracasso tremendo. […] Egli si lanciò alle persiane e vide la folla fuggire disperatamente verso San Donato e il viale di Rivoli, urlando e imprecando, tutti curvi, piegati in due, come per fuggire alle palle. […] Vide tutte le truppe avanzarsi, mandando baleni dalle baionette. Vide passare sotto le sue finestre, a corsa rapidissima, una compagnia di bersaglieri […]. Dei carabinieri e delle guardie seguivan correndo le truppe, e sparando colpi di pistola. Egli notò i lampi del fuoco diretti in alto, quasi verticali. Delle grida violente di rimando s’intesero di sotto la casa: — Via! Via! Via! — Più lontano vide avanzarsi la massa — Poi un rumore pesante di passi di corsa: un gruppo di fanteria passava per i giardini della casa per prendere di fianco la turba. Dopo non si vedeva più un dimostrante da nessuna parte. […]"
("Primo Maggio", Edmondo De Amicis 1891)
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25 aprile 2009

25 Aprile

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"Non trovo altre parole per dirlo.
E si avvicina il momento, cioè la fine di ogni anno scolastico, in cui la prof. Mila S. fa imparare a memoria ai suoi alunni delle terze queste parole, è ai miei alunni che dedico questa nota:
«Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? 

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. 
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.»
(11 febbraio 1917, Antonio Gramsci)"
Mila S.

Il 25 Aprile per ricordarsi e ricordare che non si può perdonare chi infanga la memoria di coloro che hanno dato la vita per liberare il nostro Paese dal regime nazi-fascista.
Onore ai partigiani!
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24 aprile 2009

Legittima difesa (di Lurtz)

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Non so quale tipo di reazione hanno i cittadini francesi, ma so che qui da noi, in Italia, la fazione dei perbenisti grida allo scandalo e all'attentato contro la civiltà condannando severamente chiunque sostenga quei lavoratori che operano il trattenimento coatto nei confronti di quei dirigenti che, rifiutando ogni forma di dialogo al fine di concertare soluzioni di interesse comune, mettono irrimediabilmente a rischio, tramite licenziamenti o chiusura delle aziende, il posto di lavoro e, quindi, la loro vita.
I nostri terrorizzati perbenisti sostenitori del precariato (solo sulla pelle altrui, però...) definiscono tutto questo: rapimento.
Io, invece, definisco costoro: farisei e assassini!
Affermazione forte?
E allora come si può definire chi gioca con la vita degli altri?

Del resto quei lavoratori non fanno altro che rispettare le leggi del capitalismo. Oppure la concorrenza e il "mors tua, vita mea", vale solo per i padroni?
Ebbene gentili assassini, anche in questo caso i lavoratori si sono dimostrati più civili di voi. Infatti loro non attentano alla vostra vita! Si limitano a chiudervi in una stanza per qualche ora. Mentre voi non avete scrupoli o rimorsi quando decidete di licenziare migliaia di padri e madri di famiglie, mettendo a rischio la loro vita!
E' sovversivo chi usa questi toni e questi termini?
Già me li immagino, i cosiddetti "moderati": "...non è questo il modo...non si risolvono così i problemi..." e bla...bla...bla...bla...
Sapete che vi dico?
Porgetela voi l'altra guancia, infami!

Aggiornamento: Ho letto poco fa, che i manager francesi sono così preoccupati che hanno diramato un vademecum in caso di intrattenimento coatto. Il consiglio è di tenere pronta in ufficio una borsa con biancheria intima, rasoio e camicia. Questa è la loro unica preoccupazione: non la sorte dei lavoratori, ma avere un aspetto pulito.
E come altro definire questi bipedi, se non merde?
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22 aprile 2009

Israele, non é razzista? (di Demcoamb)

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A Ginevra si sta svolgendo la Conferenza dell'Onu sul razzismo, ieri il Presidente iraniano Ahmadinejad (consulta qui alcuni dati sull'Iran che è necessario conoscere) ha scaldato gli animi accusando l’attuale governo israeliano di razzismo, a quel punto i paesi europei, per protesta, hanno abbandonato l’aula, oggi si sono invece presentati regolarmente ai lavori di Ginevra.
Restano pertanto fuori dalla Conferenza oltre a Israele, Stati Uniti, Canada, Australia, Italia, Olanda, Germania, Polonia, Nuova Zelanda e Repubblica Ceca.  Il Vaticano invece ha scelto di restare in aula anche durante il contestato intervento di Ahmadinejad.
Tralasciando i toni del discorso del Presidente iraniano, sicuramente troppo accesi, entrando nel merito dei contenuti, le sue osservazioni sono giuste o sbagliate?
Cosa deve fare un paese per essere considerato razzista?
Non basta aver cacciato centinaia di migliaia di palestinesi dalla loro terra e non permettere loro di ritornarvi?

Non basta confiscare le terre al popolo palestinese per costruire colonie?
Non basta rinchiudere un popolo in un ristretto territorio circondato da alte mura e impedire per mesi il transito di quasi tutte le merci?
Non basta discriminare i palestinesi in ogni modo nella vita quotidiana e non riconoscere l’unico governo del Medio Oriente democraticamente eletto?
Non basta (sicuramente sto dimenticando tante cose a tal proposito, se vuoi approfondire clicca qui ) massacrare sotto i bombardamenti la popolazione civile?
Ricordiamoci infine che Israele ha a suo carico decine di condanne da parte dell’ONU. Se l’Iran fosse stato condannato almeno la metà delle volte, sarebbe sicuramente occupato da forze straniere, ma è la solita politica del due pesi due misure.
Sicuramente questa volta gli è andata male, volevano condurre il solito vertice falso, ma il cattivone ha aperto il coperchio, peccato che come spesso accade i mass-media (anche quelli di sinistra) si sono accodati ai codardi europei.
(Al fine di rendersi meglio conto che le accuse rivoltegli sono prive di fondamento, sul blog di Alessandra Colla si può trovare il testo integrale del discorso tenuto dal Presidente iraniano alla Conferenza di Ginevra sul razzismo, Lurtz)
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21 aprile 2009

Doppiogiochista.

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Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, ha dichiarato: "L'impressione è che sia a livello mondiale sia italiano ci siano alcuni segnali che il peggio l'abbiamo visto: non c'è più la caduta continua degli ordini e del fatturato".
Un segnale di ottimismo.
Infatti dopo sei settimane di ripresa i mercati europei, ieri, hanno registrato un vero e proprio tonfo!
Nel frattempo, dopo la richiesta di allungamento della cassa integrazione avanzata dalla stessa Confindustria, il ministero del Lavoro ha ridefinito il calcolo della cig, che sarà basato sui giorni e non più sulle settimane e i mesi.
Non è nuova a simili uscite la presidentessa di Coerenzindustria, che qualche tempo fa, dopo aver rassicurato sul fatto che "il lavoro c'è", allarmava sul rischio di "perdere" il lavoro per migliaia di lavoratori.
Recentemente ho conosciuto il senatore Palpatine, qualcuno lo ricorda? Read more...

17 aprile 2009

Il "nuovo" manifesto di un "vecchio" modernismo. (di Lurtz)

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E' venuto recentemente alla luce il nuovo manifesto di "Casa Pound", centro sociale occupato dichiaratamente di destra della capitale.
Il titolo è già tutto un programma: Estremocentroalto.
E, nonostante, si prefigga la creazione di un "nuovo" punto di vista politico e culturale, sembra già stantìo. Infatti denota una mescolanza di varie "parole d'ordine" pescando un po' quà e un po' là.
Insomma, si sente la provenienza, di alcuni partecipanti, da "Terza Posizione".
"Etica, epica ed estetica", questo è il primo richiamo del "nuovo" pernsiero che appare già, però, "usato" in quanto ricorda non poco la simbologia culturale fascista.
Ad una prima lettura lo definirei "post-modernista-post" o anche "post-modernistafuturista-post", apparentemente incoerente e incongruente in realtà segue un filo coerente e preciso che va dal nichilismo al modernismo, dal futurismo al situazionismo, al postmodernismo.
«L'Estremocentroalto fugge le rassicurazioni identitarie, equivalente politico della triviale esibizione di virilità tipica degli eunuchi», tuttavia esibisce un simbolo che richiama (vagamente...) il nazionalsocialismo.

«L'Estremocentroalto schifa le ideologie e non possiede la verità. E' però portatore di uno stile. Lo stile è superiore alla verità, poichè reca in sè la prova dell'esistenza. Nella contrapposizione fra "estetizzazione della politica" e "politicizzazione dell'arte", noi ci schieriamo per l'Artecrazia, risposta sovversiva e creatrice, vitalista e vivace al dominio dell'inaudita bruttezza. Ci si rapporti al mondo sempre in una chiave figurativa, si tocchino le corde dell' "immaginale", dimensione naturalmente orgiastica, addensatrice d'anime. La rivoluzione si fa con le rose rosse. Si fa con il marmo bianco. », può sembrare, la mia, una forzatura, ma cos'altro è tutto ciò se non modernismo futurista situazionista?
Devo dire che trovo tutto questo molto deludente, a partire dal titolo che richiama vagamente la definizione che Sgarbi diede a suo tempo di Berlusconi (se non ricordo male: "(...) non è di destra, nè di sinistra...è al centro...in alto...").
Ritengo che chi, come me, rifiutando l'oramai anacronistico duopolio destra-sinistra, e convinto della necessità di "avvicinamenti" funzionali al dialogo, non possa che rilevare il fatto che non può essere questo il futuro politico e culturale.
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15 aprile 2009

Estremismi e moderatismi

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L'aggettivo "estremo" evoca gesta incontrollabili, irrefrenabili, non lievi, non educate, e, solitamente, viene associato ad attività che oltrepassano la normalità (sesso estremo, sport estremi, estremismo politico, eccetera).
Ma chi determina i confini della normalità? e, soprattutto, nel mondo moderno, accertata l'esistenza del postmodernismo, cosa è lecito e cosa no?
La risposta sembrerebbe ovvia: i confini sono determinati dalla morale comune e dalla legge.
ma è proprio qui che sorgono i problemi.
Facciamo un esempio.
Stabilito, anzitutto, che la cosiddetta morale comune è determinata dalla consuetudine e dagli usi della maggior parte dei soggetti, si scopre che, conseguentemente, la legge altro non è che una fissazione (o cristallizzazione) delle suddette consuetudini. Tuttavia urge la necessità di specificare che la morale comune (e, conseguentemente, la legge) non è universalizzabile, bensì è oggetto di continue modifiche e variazioni in base (e in funzione) alle differenti culture e ai differenti periodi storici. La pederastia, per esempio, esecrata dalla nostra cultura, nella Grecia classica era una pratica comune. Perciò, assolutizzare un tipo di morale non solo è un errore gravissimo, ma può generare equivoci (pericolosi) sulla natura dell'Uomo e sulla genesi di determinate culture.

Detto ciò, non risulta difficile concludere che la nostra morale comune (e, conseguentemente, le leggi) è determinata dal paradigma capitalistico.
Attenzione, si badi alla definizione: paradigma, non modo di produzione.
Ritengo necessaria questa precisazione, in quanto troppo spesso (e in molti casi solo per convenienza ideologica) si tende a suddividere in categorie che, però, riportano la medesima desinenza. Non è possibile parlare di economia capitalista o di cultura capitalista come fossero ambienti scollegati, entrambi, e non solo, fanno parte di un solo "movimento": il capitalismo.
Immaginiamo ora che la presunta maggioranza dei soggetti che in un determinato tempo condivideva determinate consuetudini e usanze,  oggi non sia più così "maggioranza", immaginiamo però che quella determinata "maggioranza" (che maggioranza non è più) abbia accesso quasi esclusivo ai gangli del potere. In questo caso, è ancora possibile parlare di morale comune?
Ovviamente, no. Ma qui avviene una modificazione genetica, ossia l'inversione dei fattori: la legge non è più conseguenza della morale comune, ma ne diventa fautrice.
All'apparenza, questa, potrebbe sembrare una tesi di denuncia verso l'inesistenza di una morale comune o di una morale imposta, in realtà questi sono i criteri necessari per l'esistenza del capitalismo.
E' utile ricordare che quando si parla di "sistema concorrenziale", non ci si riferisce (e come già detto, non è possibile, pena la giusta accusa di mistificazione, la creazione di compartimenti stagni) alla sola sfera economica. La concorrenzialità del capitalismo non avviene tra entità astratte, ma tra esseri umani: chi vince vive e cresce, chi perde muore e sparisce o subisce!
A questo punto torniamo all'inizio, per scoprire che ad "estremo" corrisponde tutto quello che non rientra nei parametri appena descritti, perchè il paradigma, in quanto tale, si posiziona "tra", in mezzo, e quindi il rifiuto verso esso è considerato estremità (o estremismo). Come già detto, però, il sistema si nutre di concorrenzialità è quindi necessaria la creazione di un alter ego o opposto. Un ideologia che lo rappresenti (con complicità) escludendo la possibilità di essere additato come eccessivamente rigido.
Il termine è rassicurante, non evoca scontri o dissidi, è al di sopra dei contendenti. Opera in qualità di arbitro e di agente di polizia.
Il "moderato" è la figura che rappresenta la falsa coscienza necessaria del capitalismo.
Aggiusta e reindirizza tutto verso la "giusta" strada, e se la struttura rivela falle le corregge.
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14 aprile 2009

"Per il terremoto non do nemmeno un euro..."

2 commenti
Per gentile concessione di Spartaco Resiste di Facebook.


"Scusate, ma io non darò neanche un centesimo di euro a favore di chi raccoglie fondi per le popolazioni terremotate in Abruzzo. So che la mia suona come una bestemmia. E che di solito si sbandiera il contrario, senza il pudore che la carità richiede. Ma io ho deciso. Non telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non manderò nessun sms al costo di un euro. Non partiranno bonifici, né versamenti alle poste. Non ho posti letto da offrire, case al mare da destinare a famigliole bisognose, né vecchi vestiti, peraltro ormai passati di moda.
Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei calciatori, alle testimonianze dei politici, al pianto in diretta del premier. Non mi hanno impressionato i palinsesti travolti, le dirette no – stop, le scritte in sovrimpressione durante gli show della sera. Non do un euro. E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà, che in questo momento, da italiano, io possa fare.
Non do un euro perché è la beneficienza che rovina questo Paese, lo stereotipo dell’italiano generoso, del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e poi però sa farsi perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle tragedie. Ecco, io sono stanco di questa Italia. Non voglio che si perdoni più nulla. La generosità, purtroppo, la beneficienza, fa da pretesto. Siamo ancora lì, fermi sull’orlo del pozzo di Alfredino, a vedere come va a finire, stringendoci l’uno con l’altro. Soffriamo (e offriamo) una compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un centimetro.

Eppure penso che le tragedie, tutte, possono essere prevenute. I pozzi coperti. Le responsabilità accertate. I danni riparati in poco tempo. Non do una lira, perché pago già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la protezione civile. Che vengono sempre spesi per fare altro. E quindi ogni volta la Protezione Civile chiede soldi agli italiani. E io dico no. Si rivolgano invece ai tanti eccellenti evasori che attraversano l’economia del nostro Paese.
E nelle mie tasse c’è previsto anche il pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi specula sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che succedano le catastrofi. Con le mie tasse pago anche una classe politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma proprio nulla, che non sia passerella.
C’è andato pure il presidente della Regione Siciliana, Lombardo, a visitare i posti terremotati. In un viaggio pagato – come tutti gli altri – da noi contribuenti. Ma a fare cosa? Ce n’era proprio bisogno?
Avrei potuto anche uscirlo, un euro, forse due. Poi Berlusconi ha parlato di “new town” e io ho pensato a Milano 2 , al lago dei cigni, e al neologismo: “new town”. Dove l’ha preso? Dove l’ha letto? Da quanto tempo l’aveva in mente?
Il tempo del dolore non può essere scandito dal silenzio, ma tutto deve essere masticato, riprodotto, ad uso e consumo degli spettatori. Ecco come nasce “new town”. E’ un brand. Come la gomma del ponte.
Avrei potuto scucirlo qualche centesimo. Poi ho visto addirittura Schifani, nei posti del terremoto. Il Presidente del Senato dice che “in questo momento serve l’unità di tutta la politica”. Evviva. Ma io non sto con voi, perché io non sono come voi, io lavoro, non campo di politica, alle spalle della comunità. E poi mentre voi, voi tutti, avete responsabilità su quello che è successo, perché governate con diverse forme - da generazioni - gli italiani e il suolo che calpestano, io non ho colpa di nulla. Anzi, io sono per la giustizia. Voi siete per una solidarietà che copra le amnesie di una giustizia che non c’è.
Io non lo do, l’euro. Perché mi sono ricordato che mia madre, che ha servito lo Stato 40 anni, prende di pensione in un anno quasi quanto Schifani guadagna in un mese. E allora perché io devo uscire questo euro? Per compensare cosa? A proposito. Quando ci fu il Belice i miei lo sentirono eccome quel terremoto. E diedero un po’ dei loro risparmi alle popolazioni terremotate.
Poi ci fu l’Irpinia. E anche lì i miei fecero il bravo e simbolico versamento su conto corrente postale. Per la ricostruzione. E sappiamo tutti come è andata. Dopo l’Irpinia ci fu l’Umbria, e San Giuliano, e di fronte lo strazio della scuola caduta sui bambini non puoi restare indifferente.
Ma ora basta. A che servono gli aiuti se poi si continua a fare sempre come prima?
Hanno scoperto, dei bravi giornalisti (ecco come spendere bene un euro: comprando un giornale scritto da bravi giornalisti) che una delle scuole crollate a L’Aquila in realtà era un albergo, che un tratto di penna di un funzionario compiacente aveva trasformato in edificio scolastico, nonostante non ci fossero assolutamente i minimi requisiti di sicurezza per farlo.
Ecco, nella nostra città, Marsala, c’è una scuola, la più popolosa, l’Istituto Tecnico Commerciale, che da 30 anni sta in un edificio che è un albergo trasformato in scuola. Nessun criterio di sicurezza rispettato, un edificio di cartapesta, 600 alunni. La Provincia ha speso quasi 7 milioni di euro d’affitto fino ad ora, per quella scuola, dove – per dirne una – nella palestra lo scorso Ottobre è caduto con lo scirocco (lo scirocco!! Non il terremoto! Lo scirocco! C’è una scala Mercalli per lo scirocco? O ce la dobbiamo inventare?) il controsoffitto in amianto.
Ecco, in quei milioni di euro c’è, annegato, con gli altri, anche l’euro della mia vergogna per una classe politica che non sa decidere nulla, se non come arricchirsi senza ritegno e fare arricchire per tornaconto.
Stavo per digitarlo, l’sms della coscienza a posto, poi al Tg1 hanno sottolineato gli eccezionali ascolti del giorno prima durante la diretta sul terremoto. E siccome quel servizio pubblico lo pago io, con il canone, ho capito che già era qualcosa se non chiedevo il rimborso del canone per quella bestialità che avevano detto.
Io non do una lira per i paesi terremotati. E non ne voglio se qualcosa succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i furbi. E siccome so già che così non sarà, penso anche che il terremoto è il gratta e vinci di chi fa politica. Ora tutti hanno l’alibi per non parlare d’altro, ora nessuno potrà criticare il governo o la maggioranza (tutta, anche quella che sta all’opposizione) perché c’è il terremoto. Come l’11 Settembre, il terremoto e l’Abruzzo saranno il paravento per giustificare tutto.
Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni giorno. Se solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare gli sfollati: congelando gli stipendi dei politici per un anno, o quelli dei super manager, accorpando le prossime elezioni europee al referendum. Sono le prime cose che mi vengono in mente. E ogni nuova cosa che penso mi monta sempre più rabbia.
Io non do una lira. E do il più grande aiuto possibile. La mia rabbia, il mio sdegno. Perché rivendico in questi giorni difficili il mio diritto di italiano di avere una casa sicura. E mi nasce un rabbia dentro che diventa pianto, quando sento dire “in Giappone non sarebbe successo”, come se i giapponesi hanno scoperto una cosa nuova, come se il know–how del Sol Levante fosse solo un’ esclusiva loro. Ogni studente di ingegneria fresco di laurea sa come si fanno le costruzioni. Glielo fanno dimenticare all’atto pratico.
E io piango di rabbia perché a morire sono sempre i poveracci, e nel frastuono della televisione non c’è neanche un poeta grande come Pasolini a dirci come stanno le cose, a raccogliere il dolore degli ultimi. Li hanno uccisi tutti, i poeti, in questo paese, o li hanno fatti morire di noia.
Ma io, qui, oggi, mi sento italiano, povero tra i poveri, e rivendico il diritto di dire quello che penso.
Come la natura quando muove la terra, d’altronde." (Giacomo Di Girolamo)
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12 aprile 2009

I parametri dell'uguaglianza, secondo Israele.

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Intervista di Francesco Battistini a Amir Menashe, analista della radio Israeliana  
(10 aprile 2009 - Corriere della Sera - Pag. 13)


D - E' il primo passo dell' Iran verso l' atomica?
R «No. Il primo passo è già stato fatto. Questo è un altro, importante passo». 
Amir Menashe, esperto d' Iran, capo del servizio in farsi della Radio israeliana, teme Ahmadinejad anche (o specie) se parla di giustizia e rispetto: «Ci sta solo dicendo: se tu Occidente hai il diritto d' arricchire l'uranio e d'avere la bomba, noi possiamo avere lo stesso diritto. Non c' è nessuna novità, è il solito inganno».
D - Quale inganno?
R «Negoziare, e intanto fabbricare la bomba. L'Iran dice: siamo pronti a parlare con voi, ma non faremo concessioni sull' arricchimento dell' uranio. Questa è solo diplomazia dell' inganno, non sincerità. Mercoledì, Ahmadinejad ha detto che sosterrà il piano internazionale per lo smantellamento delle armi nucleari: lo sostiene, a condizione che ognuno abbia il diritto d' usare uranio a scopi pacifici. Che significa? Che noi Iran abbiamo il diritto di continuare il programma, che naturalmente non è a scopo militare, mentre voialtri Paesi che avete già la bomba, dovete metterla al bando. Mi spiace che i governi occidentali non lo capiscano».
D - C'è chi consiglia a Obama di non cadere nella «trappola israeliana», di non demonizzare l'Iran...

R «Chi dice questo, non conosce l'Iran. Che ha un credo religioso. Che attende il suo Mahdi. E in quest' attesa, considera dovere d' ogni sciita combattere per portarne il verbo nel mondo. L'Iran è l' unico Stato sciita e lo scopo è convertire l' intero mondo all'Islam. La bomba fa parte di questo progetto, contro tutta la civiltà occidentale e la cristianità. Due anni fa, quando disse che sognava di cancellare Israele dalla mappa, Ahmadinejad aggiunse che quello era "il primo passo" nella sfida alla cristianità. Perché distruggere l' ebraismo, significa colpire le basi del cristianesimo. Quando l'Iran costruisce missili per 4-6mila km di raggio, e prova a costruirsi l'atomica, non punta a distruggere solo noi israeliani: vuole un' arma che tenga alla larga voi europei».
D - Dopo Bush, solo voi dipingete ancora Ahmadinejad come Hitler...
R «Non voglio paragonarlo a Hitler, il peggio dell'umanità. Ma è un fanatico, con una fede apocalittica. Per lui, la vita umana non ha importanza».
D - Se l'Occidente non si muove, Israele farà da sé?
R «Netanyahu non dice di non negoziare con l'Iran. Dice: ok, fate, ma con un limite di tempo. Possiamo aspettare settimane, mesi. Non di più. Conosciamo bene l'inganno iraniano».
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3 aprile 2009

hANNOZERO (di Lurtz)

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Interessante programma quello che viene trasmesso il giovedì sera su RaiDue, interessante e, soprattutto, istruttivo.
Ieri sera, ad esempio, si potevano imparare molte cose. Il collegio docenti era composto dai soliti Santoro e Travaglio (preside-conduttore e vice preside-editorialista) e dai maestri: Della Valle (a rappresentare i "poveri" imprenditori dilaniati dalla crisi), Casini (per gli amici Pierferdy, a nome della opposizione-complice di governo) e Zucconi (a testimoniare le vicende d'oltreoceano).
Naturalmente, il "popppolo" (che è bue e guai se parla!) era rigorosamente selezionato e posizionato lontano da microfoni e telecamere.
Ma questa volta, il selezionatore era distratto.
Il tema della lezione era: i veri poveri. Ed è stata molto convincente. Infatti è stato possibile dedurne vari fatti.
Il primo fatto è che, nonostante sia lapalissiano che la crisi in atto è a livello strutturale, il sistema capitalistico non si mette in discussione! Non ci sono alternative! E anche ce ne fossero sono aborti di menti malate o utopia e, quindi, devono essere considerate e trattate come meritano, affinchè non spargano il virus al resto del mondo: forme anomale di regimi autoritari e sanguinari (Unione Sovietica, Cina, Cuba, Corea del Nord, Bolivia, giusto per fare qualche esempio).

Conseguenti sono il secondo e il terzo: le imprese (ma soprattutto i loro proprietari) devono essere salvate perchè lo sfruttamento indiscriminato che attuano nei confronti dei lavoratori , in realtà è un atto di immensa bontà per evitargli la fame (e la schiavitù, siamo d'accordo, è molto meglio; del resto lo sottolineavano anche i nazisti all'ingresso di "accoglienti" campi di lavoro...); e che le banche sono le vere colpevoli di questo pandemonio, si badi, però, non i proprietari (che in realtà sono esseri puri e celesti paragonabili al "granlupmannar" fantozziano, ossia semidei) bensì i loro amministratori e dipendenti che pagheranno tutto con sonori "toh-toh" sui beautyfarmati culetti.
Quarto fatto è l'individuazione dei veri e unici soggetti che subiscono tutto il peso delle angherie di questo sistema cattivaccio: le classi medie. Questo è il soggetto da difendere, perchè è il soggetto consumatore senza il quale il sistema arranca e si deteriora.
Il quinto, e ultimo, fatto è che tutto il resto non esiste e, soprattutto, non deve essere menzionato pena l'oscuramento mediatico e/o la derisione.
Non esistono: i lavoratori delle fabbriche, quelli edili, quelli che lavano tazzine nei bar o piatti nelle cucine dei ristoranti, quelli che raccolgono o scaricano frutta e verdura nei campi e nei mercati, le colf, gli autisti di mezzi pubblici, i fattorini. Niente! Sono invisibili, o meglio diventano visibili solo nel caso tornino utili alla retorica mediatica per provocare pena e pietà. Per il resto, non gliene frega niente a nessuno.
Siamo tutti preoccupati, terrorizzati quasi. La crisi che da qualche mese ha travolto i mercati finanziari (ma anche l'economia reale, direbbe qualcuno...) avanza.
Ma della crisi che stritola i lavoratori da almeno quindici anni importa a qualcuno? Del prezzo del pane che è aumentato esponenzialmente negli ultimi cinque anni, importa?
Eh già! Ma questa è retorica! E chi ne parla viene deriso come nostalgico rosso.
Così come è accaduto ieri sera nei confronti di quel ragazzo che ha osato mettere in discussione i dogmi riformatori che i "sinistri" sbandierano a gola spalancata.
Qualcuno penserà: meglio poco che nulla. Ma teniamo presente che la televisione annulla!
Il "signor nessuno" che, con un briciolo di preparazione e tanta rabbia, critica il sistema, deve essere zittito. Se poi non possiede nemmeno uno straccio di titolo accademico può essere addirittura deriso.
La cosiddetta "sinistra" (quella che si vanta di dirsi non comunista) si fa bella con frasi del tipo: c'è bisogno di giovani di quà, c'è bisogno di giovani di là. Ma quando un giovane tenta di mettere in discussione determinate "intoccabilità", subito gli si fa notare l'assenza di "capelli bianchi" e perciò il (presunto) obbligo ad attendere il proprio turno.
Allora, ragazzi non andate a farvi ridere in faccia da quella gente.
E, soprattutto, non dimenticate che nel "dialogo" col padrone, il lavoratore non tiene mai il manico del coltello!
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1 aprile 2009

Basta violenza sulle donne!!! (in Afghanistan e nel resto del Mondo) di Demcoamb

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Nel 2001 i media occidentali ci hanno convinto della necessità di un intervento internazionale armato per sconfiggere i Taleban afghani, rei di aver sprofondato l’Afghanistan nel medioevo, costringendo le donne afghane in una condizione di terribile oppressione dei loro diritti elementari.
Naturalmente questa argomentazione era solamente un pretesto per giustificare una guerra che si sarebbe rivelata, alla lunga disastrosa per la popolazione civile.
Purtroppo le donne sono discriminate nella buona parte del pianeta (perché allora non invadere tutti i paesi arabi, quelli africani, moltissimi di quelli asiatici ecc.?), inoltre non si può ignorare il fatto che i taleban siano stati precedentemente appoggiati ed armati dagli occidentali, per opporsi all’occupazione sovietica.
Ora il parlamento Afghano sotto la guida del Presidente Hamid Karzai (appoggiato dall’amministrazione statunitense), si appresta ad approvare una legge scandalosa, che sprofonderebbe le donne nello schiavismo puro. Attraverso tale legge il marito potrebbe disporre del corpo della donna come vuole, la donna non avrebbe il diritto di lavorare e dovrebbe chiedere l’autorizzazione al marito per uscire e addirittura per recarsi dal medico.

Il Presidente Karzai in questo modo spera di accontentare, prima delle elezioni, i fondamentalisti islamici che hanno un peso enorme in Afghanistan, considerando altresì che i Taleban controllano almeno il 60% del territorio Afghano.
La faccenda è ancor più sconvolgente se si considera che in questo paese accade spesso che delle ragazzine giovanissime siano date in moglie, contro la loro volontà e comunque in una situazione di palese violazione dei diritti umani e dell'infanzia.
Ancora una volta viene smascherata l’ipocrisia e le falsità degli interventi armati occidentali, che assumono a pretesto ragioni umanitarie per nascondere la vera natura coloniale dei vari interventi militari.
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